Una tappa fondamentale del percorso “Barbiana 2040” è stata l’opportunità di partecipare in presenza, come osservatori, alle lezioni di scrittura collettiva.
Fare lezione di sviluppo del pensiero critico attraverso la scrittura collettiva è come gettare sassi.
“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia.” G. Rodari.
La lezione milaniana è entusiasmante ed illuminante perché ha in sé potenza generativa di armonia e quindi di vero benessere collettivo, come il “ti vedo”, saluto rituale dei nativi d’America che significa “tu ci sei”, spinge ad andare oltre le fragilità, le incomprensioni, le differenze per incontrare davvero l’altro, per guardarsi negli occhi e camminare insieme. Richiama il motto “I Care” affisso alla porta dell’aula di Barbiana.
Ha una dimensione di reciprocità: è inclusiva ed equa infatti coinvolge tutti gli alunni e riesce a mobilitare, nell’arco di tempo lungo, tempo della scholè, anche i più marginali e nella diversità, tenendo conto dei bisogni e delle peculiarità di ciascuno, offre pari opportunità a tutti perché “Non c’è nulla di più ingiusto che far parti uguali tra disuguali”, come affermava don Milani
È una lezione democratica perché l’idea, oggetto di discussione, appartiene non solo al singolo, ma al gruppo che la modifica in modo democratico tanto da riconoscersi in essa, è inoltre atto politico: attraverso la libertà di parola, l’ascolto, il dialogo e il confronto gli alunni si allenano a diventare cittadini attivi e socialmente responsabili.
La lezione attiva, un apprendimento interattivo e coinvolgente, è interdisciplinare; infatti, spaziando da una disciplina all’altra supera la frammentarietà del sapere, è creativa e flessibile perché si seguono gli input dati dagli alunni ed è ricca di imprevisti che generano arricchimento culturale. Le osservazioni degli alunni vertono su ciò che li colpisce al cuore, su ciò che sembra loro oscuro oppure su un chiarimento, una domanda.
Durante la lezione tutti gli interventi degli alunni, anche quelli ripetitivi, vengono accolti e non censurati perché costituiscono una “finestra” sulla loro cultura, sulla loro vita e possono costituire l’avvio per le riflessioni a venire.
Si genera una didattica attiva, autentica, paragonabile ad un’aula senza porte e finestre per lasciare libero accesso a qualsiasi input che possa dare inizio ad un nuovo viaggio che i ragazzi effettueranno da protagonisti, in compagnia del docente, senza timore delle digressioni, delle soste e delle deviazioni improvvise vissute come momenti di scoperta e non attimi da far passare velocemente per raggiungere qualcosa d’altro. Tutte queste caratteristiche sono peculiari della didattica per competenze.
La lezione milaniana scardina l’egocentrismo, l’individualismo, la solitudine e abbatte la competizione: non è solo il prodotto finale che conta, ma soprattutto il processo, il percorso di costruzione e strutturazione del pensiero che insegna ad andare in profondità ad immergersi, come un palombaro, nel mondo delle parole; gli alunni concentrando e dedicando la propria attenzione e partecipazione al presente, liberi da programmazioni e ritmi frenetici rivolti al conseguimento di un risultato specifico, compiono un viaggio immersivo ed esplorano liberamente mondi conosciuti e sconosciuti privilegiando il processo di provocazione e di scoperta.
È una lezione autentica, avalutativa: l’insegnante non giudica chi non lavora, non sgrida, non incita alla collaborazione, ma cerca di stimolare la riflessione (dialogo socratico); anche gli studenti non giudicano, non ridacchiano agli interventi dei compagni, non si scambiano sguardi maliziosi, si rispettano in un clima sereno di apprendimento. La scrittura collettiva è una tecnica efficace per affrontare la complessità nella realtà scolastica: ogni elemento assume un senso all’interno dell’esperienza in atto, mettendo in gioco le risorse di resilienza di ciascuno, proprio come fa l’ostrica quando reagisce all’invasione imprevista di un sassolino e si protegge producendo una secrezione che dà vita ad un oggetto meraviglioso: la perla (come scrisse Boris Cyrulnik).
GLI ALUNNI
Gli alunni appaiono curiosi, motivati e con l’attenzione a mille, pronti a continuare il viaggio di ricerca e scoperta insieme all’insegnante.
Hanno un ruolo attivo: partecipano, si sostengono l’un l’altro, si rispettano e si incoraggiano, si aprono al gruppo di cui sentono di fare parte, si ascoltano e si autoregolano.
Si espongono liberamente alla comunità perché ogni intervento viene valorizzato e non giudicato e si sentono liberi di sbagliare e di esporsi con consapevolezza (diversamente da quello che succede sui social dove si cerca di affermare la propria “grandezza” alla ricerca continua del consenso).
Questa modalità di partecipazione risponde al bisogno che gli alunni hanno di identificarsi: utilizzano le parole dell’altro per strutturare meglio il loro pensiero e attraverso il confronto si scoprono e costruiscono la propria identità.
Gli alunni attivano processi di metacognizione, dimostrano consapevolezza critica ed autonomia di giudizio diventando costruttori attivi del loro sapere.
Il processo ha inizio con la scrittura in maniera concisa sui fogliolini, su cui si annotano non solo le parole chiave, ma anche frasi significative e si impara a prendere appunti in modo efficace.
Questo approccio è significativo, supera la frammentarietà disciplinare, valorizza le conoscenze informali di ciascuno e permette di fare collegamenti spazio-temporali.
Gli alunni lavorano sulla parola in modo certosino e, come piccoli artigiani, ne restituiscono il potere evocativo, metafisico, da cui si dipanano mille ramificazioni di significato; si recupera il valore sociale della parola, non solo quello cognitivo, che prende vita e si modifica nel corso del tempo.
IL DOCENTE
Il docente è regista, portatore di strumenti, dà inizio alla lezione lanciando sulla scacchiera il tema con argomenti-stimolo, intercettando il bisogno degli alunni e, talvolta “muto”, osserva la classe dialogante. Non ha la preoccupazione di richiamare, ma lavora con gli alunni e non si sostituisce ad essi, li rassicura con lo sguardo, valorizza ogni intervento, non dà giudizio, accoglie digressioni e imprevisti, attesi come occasione, opportunità di apprendimento.
Opera in un tempo disteso, attivando risorse interne ed esterne all’alunno, sempre aderenti al contesto di realtà.
Abbandona la lezione frontale di tipo trasmissivo e, in una dimensione di circolarità, parla con la classe e non alla classe.
Non più depositario del sapere, si mette in discussione addentrandosi in campi sconosciuti, lasciandosi guidare anche dai ragazzi: in questo modo attiva un apprendimento fortemente cooperativo e condiviso.
Il docente si muove nell’aula, tra i banchi, si pone in ascolto in posizione decentrata, mai alla cattedra, presta attenzione non solo a ciò che dice, ma a come lo dice, al linguaggio verbale, mimico e gestuale.
Non fa monologhi, ma provoca, suscita e promuove domande, dà aiuti dalla regia, comunica mantenendo un lessico alto e formale.
E’ attento al benessere della collettività, infonde fiducia negli alunni perché lui stesso è il primo a non perseguire il “mito della performance”, ma riscopre la dimensione autentica dell’essere se stesso e dell’essere parte della collettività.
LE DOMANDE DEGLI OSSERVATORI
1 – Come spaziare tra le discipline?
La scrittura supera le discipline e contemporaneamente le attraversa, non è interdisciplinare ma è transdisciplinare, è l’unico momento in cui l’insegnante vede realizzarsi la transdisciplinarietà, la forma più alta di aderenza alla realtà, in cui le discipline dialogano tra loro e si affratellano, con reale contaminazione del sapere. L’insegnante deve aderire senza timori agli attesi imprevisti del cammino, che sono finestre da aprire e indagare insieme agli alunni, con una vera e propria ricerca azione sul campo. Anche attraverso la lettura dei quotidiani e la discussione insieme.
2 – Con la scrittura collettiva vengono dati compiti a casa?
Non vengono assegnati compiti dal docente, ma il compito – se nasce – scaturisce spontaneamente dagli alunni e dal loro bisogno di rielaborare e di raccontare a casa l’esperienza. Ecco perché è nata da loro stessi l’idea del taccuino dello scrittore, che può essere portato a casa e rielaborato e rifinito individualmente, diventa un trait-d ’union tra scuola e casa, e arricchisce il percorso collettivo con digressioni creative individuali. Aiuta in classe a ripercorrere con la lettura trasversale il percorso fatto.
Nella scuola secondaria non sono previsti i compiti a casa, ma previo accordo con i ragazzi, se un dialogo resta sospeso, oppure c’è un nodo da sciogliere, l’insegnante pone una domanda “pesante” a scopo di rafforzamento del tema affrontato, o perché non si disperda lo spessore della questione sollevata; cosicché spesso le risposte scritte, elaborate a casa dagli studenti, fungono da significativo e felice raccordo per la lezione successiva.
3 – Come si attua la valutazione?
La valutazione si invera in modo graduale, come una scoperta, attraverso l’autocorrezione, l’osservazione a specchio del docente regista e dell’aiuto regista, l’utilizzo dei fogliolini, il processo di costruzione del pensiero che si palesa attraverso i dialoghi, la capacità di iniziativa. In questo modo è possibile attuare una veritiera valutazione per competenze, formativa, che ha come focus il processo anziché il prodotto. La valutazione diventa realmente formativa, perché attraverso l’osservazione mira alla rimozione degli ostacoli nel processo di apprendimento, che sono gli ostacoli al cammino di formazione del futuro cittadino. Quindi possiamo, a ragione, parlare di valutazione per l’apprendimento, non di valutazione degli apprendimenti. Si può utilizzare un’agenda quotidiana di osservazioni, ma si può notare sorprendentemente che le competenze osservate e acquisite, emergono anche nelle verifiche più tradizionali sulle discipline. Si possono valutare altresì tutte le competenze di cittadinanza europea e di educazione civica.
4 – Esiste una sequenza di lezioni?
Il primo “atto d’amore” del docente consiste nell’intercettare le correnti sotterranee che si muovono nel sottobosco della classe, ossia i bisogni profondi attraverso i motivi occasionali anche banali; si individua così un possibile filo rosso da lanciare all’inizio del percorso, poi bisogna lasciarsi guidare e navigare in mare aperto insieme agli alunni. Si genera una spontanea concatenazione e alternanza tra dialoghi socratici e momenti di scrittura, che conduce ad individuare il tema della scrittura e a scegliere l’interlocutore.
5 – L’osservatore fa parte del sistema?
Chiunque entri in classe entra anche a far parte del processo e del sistema classe, che si lascia contaminare dalle presenze esterne, le quali diventano interlocutori e possono fungere anche da specchio.
Un’educatrice che ha lavorato alla scrittura collettiva insieme all’insegnante dice che questo percorso per lei è stato assolutamente naturale: da professionalità diverse derivano vissuti differenti, anche nella scrittura collettiva.
6 – L’incontro con le altre classi è utile?
L’incontro con altre classi funge da potenziamento e cassa di risonanza, spinta motivazionale, superamento dell’autoreferenzialità, crea identità ed è molto generativo anche nel tempo, soprattutto nei momenti di impasse nella vita della classe. Funziona anche da remoto e tra età differenti e in chiave di verticalizzazione. Aiuta anche il cammino del docente e crea circolarità virtuosa e comunità.
7 – Come raggiungere le famiglie degli alunni?
I migliori portavoce sono i ragazzi, che riescono a distogliere i genitori dall’ansia per i risultati e per la performance individuale. Ci aiutano così a costruire il patto educativo anche con i padri, non solo con le mamme che di solito sono delegate e relegate a mantenere i rapporti con la scuola. Il primo “atto d’amore” del docente consiste nell’intercettare le correnti sotterranee che si muovono nel sottobosco della classe, ossia i bisogni profondi attraverso i motivi occasionali anche banali; si individua così un possibile filo rosso da lanciare all’inizio del percorso, poi bisogna lasciarsi guidare e navigare in mare aperto insieme agli alunni. Si genera una spontanea concatenazione e alternanza tra dialoghi socratici e momenti di scrittura, che conduce ad individuare il tema della scrittura e a scegliere l’interlocutore.
8 – Quanto siamo disposti a metterci in gioco come insegnanti?
E’ un atto di fiducia e di coraggio. La scrittura collettiva richiede un’adesione profonda e una metamorfosi graduale che non può essere imposta, ma deve essere scelta. E’ una grande avventura educativa e formativa, ma ci si auto forma strada facendo, non si deve avere la preoccupazione di sentirsi esperti, perché è il bisogno di cambiamento che sostiene il processo e la ricerca di un’autentica dimensione vocazionale. L’insegnante, facendo proprio il metodo dell’aderenza tra parola e pensiero, riscoprirà il piacere di investire sul mestiere più bello del mondo