Una libertà di pensiero
nel cammino identitario

Nell’ultimo laboratorio di scrittura collettiva svolto nella classe terza  della scuola di Sant’Omobono, in Valle Imagna insieme all’insegnante titolare di cattedra, la prof.ssa Pierangela Vassalli, abbiamo trattato e percorso un cammino identitario, per valorizzare quell’unicità del preadolescente così ricercata e così smarrita e omologata.
Entrando in classe ho rivolto loro una domanda: “Qual è per te la cosa più bella, grande e ammirabile al mondo?” come è solito ripetere l’amico Silvio Cattarina, presidente della comunità terapeutica L’imprevisto di Pesaro, intercettando nei corridoi i suoi ragazzi.

Mi rendevo conto infatti, che occorre sempre rimuovere alcuni ostacoli che proibiscono ai ragazzi di questa età di raccontarsi, di dirsi, di esplodere nel desiderio che li caratterizza. Una ragazza di loro ha avuto il coraggio di rispondere: “La cosa più bella sono io”. Ma ha voluto anche focalizzare che il modo con cui lei e compagni si percepiscono è il fatto di non valere, spiegando che non piace loro il mondo in cui viviamo per cui quello che fanno è quasi sempre la conseguenza inevitabile del malessere che percepiscono in sè stessi.

Abbiamo guardato in uno strano silenzio Capriole, una rubrica di storie di fallimenti e di rinascite, per comprendere che come dice Albert Camus nella sua opera teatrale Caligola, essere realisti è domandare l’impossibile.
È stato chiaro ed evidente che i ragazzi siano forieri di un grande desiderio che non ritengono di poter giocare nel nostro mondo e dopo qualche sollecitazione nel giro di risposte ottenute, abbiamo notato che il loro desiderio andava dall’ottenimento di qualcosa di materiale, di denaro per divertirsi, di una moto, fino alla possibilità di gestire un’azienda agricola o a quello di poter cambiare carattere, di poter diventare sè stessi, di poter cambiare il proprio passato.


La discussione ha rivelato che davanti al racconto commosso e consapevole dei loro coetanei presenti all’Imprevisto li ha fortemente scossi, insieme all’ascolto della canzone di Lucio Dalla Le rondini in cui l’autore si chiede come sia fatto il cuore, dove peschi, come diventi fattore luminoso di costruzione nella realtà, cosa siano l’amore ed il dolore.

Mentre i banchi si riempivano di fogliolini, ripensavo all’incipit della scrittura:  la loro confessione di non riuscire a pensare per sapere, per conoscere, la fatica di essere motivati all’impegno perché confusi nel pensiero.  Che bellezza accorgersi dello scopo vivo, in atto nei nostri laboratori: contribuire al cammino identitario dei nostri ragazzi, alla loro libertà di pensiero e di azione, prima di rimanere vittime della dittatura degli algoritmi e delle leggi ingannevoli dei social media. 
Ho raccolto vagiti, gemiti durante l’avvenimento che accadeva. Ma una volta concluso il laboratorio, due volti, due ragazze si sono stagliate davanti a me, con gemiti inesprimibili. Volevano continuare il discorso, volevano riappropriarsi ed essere restituite alla propria unicità.

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