È sapienza pedagogica sorprendere le domande travestite da gemiti inesprimibili anche fatti di una sola parola, per generare un apprendimento sostenibile. E’ un’arte da coltivare ed affinare quella che accompagna l’atto di insegnare, sostenendo sulla soglia quasi in punta di piedi, la curiosità che fa divampare la motivazione.
Eravamo in DAD mista nel febbraio 2021 e avevo in classe 4 ragazze che turnavano in presenza nei diversi giorni della settimana, per partecipare alle lezioni in cui la maggior parte dei compagni seguivano da casa. Una ragazza di seconda media, diversamente abile, mi guardava, gli occhi sgranati, ripetendo a bassa voce, quasi furtivamente: “Ètera”. Mi sono avvicinata per chiederle conto meglio e lei ancora più spalancata, mi ha ripetuto: “Io ètera”.
Raccolgo o meno questa briciola di parola e di assunto che può rilanciarla a essere, a vivere? Sono persuasa che ogni occasione mancata, si volatilizzi e con essa il kairos dell’apprendere.
Intuisco che il tema – quesito fosse l’eterosessualità, ma la domanda punta direttamente al suo contrario: la curiosità verso l’omosessualità. Non descrivo il suo volto una volta appreso che la sua comunicazione era arrivata a buon fine e finalmente si poteva conoscere, dialogare, per scoprire in piccolo gruppo, in aderenza al reale di allora, l’insorgere della problematica con le sue declinazioni nel rispetto e nella delicatezza estrema delle diverse inclinazioni comunicative.
In quella ragazza, forse da quel giorno ho visto accellerarsi in generale, il percorso di crescita.
Settembre 2022, classe seconda
Nella regione Marche imperversa un’esondazione con allerta della protezione Civile.
Colgo in classe che la ricerca del piccolo Mattia Luconi trovato in seguito senza vita, genera sgomento mascherato da battute e risate.
Ciò che scava nella ragione e nel cuore è lo spessore denso della parola “ricerca”, dell’attività di ricerca, del senso della ricerca come esplorazione e ritrovamento.
Respiro un grande disagio nei rapporti nuovi tra questi ragazzi cresciuti rispetto allo scorso anno, che vivono il rapporto maldestro tra corpo che cambia e mente che non trova casa, mentre le domande, l’ansia e la consapevolezza di valere poco, li avvolge.
Butto nell’aria una domanda: “A chi di noi, non piacerebbe essere cercato e cercata? Cercato a qualunque costo, come prezioso e unico?”.
Le risposte si sovrappongono e si infittiscono, confondendosi e uniformandosi su una linea unica di pensiero: “A nessuno interessa di me, sono da rifare, tutto sbagliato, nessuno se mi perdessi verrebbe a cercarmi”.
Così dalla parola ricerca, dall’esperienza di sé come oggetto di ricerca, si sprigiona il percorso, nella quiete del cortile della scuola. È un lunedì pomeriggio di settembre assolato e dorato, e le foglie ancora verdissime stormiscono sui rami degli alberi.
Lo step successivo è l’invisibilità.