“Hanno trovato un senso profondo al loro modo di fare scuola. Hanno dato sostanza alla loro vocazione di insegnanti. Te ne accorgi perché sono persone contente, felici di entrare in classe. L’esperienza che abbiamo iniziato e che portiamo avanti ha questo valore aggiunto: la capacità di portarti nella vita reale, che è fatta di classi differenziate, con tanti alunni diversi, ciascuno con una propria peculiarità. Una realtà che contiene tanti bambini speciali, ma anche tanti docenti speciali perché anche loro, gli insegnanti, si portano dietro la loro cultura. Ecco, se devo dire quale sia la forza innovativa di questo modo di fare scuola, questo dato emerge qui: riesce a cambiare il setting mentale degli insegnanti”.
Si è appena concluso il terzo convegno nazionale della Rete di Scuole che aderiscono al progetto educativo e pedagogico Barbiana 2040. Siamo nella sede della Fondazione Montesca, a Città di Castello, la villa in cui Maria Montessori nel 1909 completò di scrivere, seduta a un tavolo di legno sotto uno splendido glicine di oltre cent’anni, il suo metodo di pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile. Ed è proprio qui, nella villa di Alice Hallgartner, la vera grande sostenitrice e, almeno in parte, anche precorritrice del modello di scuola della Montessori, che si svolse anche il primo corso di pedagogia scientifica. Sempre nel 1909.
Simone Casucci, attento a ogni sollecitazione innovativo, conosce molto bene questo luogo, l’atmosfera che regna l’ha vissuta e respirata più volte, e anche lo spirito innovativo che ancora soffia sulla didattica e le pratiche educative ormai hanno contaminato gran parte del suo modo di fare scuola. Casucci, dinamico dirigente scolastico al DD2 Circolo Città di Castello, da oltre un anno con il suo istituto e una parte dei suoi docenti, hanno aderito alla Rete Barbiana 2040. Ha scelto di sperimentare la tecnica della scrittura collettiva come faceva don Milani nella piccola aula della scuola di Barbiana. “Dopo un anno di laboratori, di esperienza reale con i bambini tutti abbiamo colto un valore nuovo. Una ricchezza fatta di trasparenza, coerenza, e autenticità” sentenzia Casucci.
– E allora partiamo da questo valore, come dice lei, e raccontiamolo partendo dal vostro rapporto come istituto scolastico con la Rete e dall’approccio sperimentato della scrittura collettiva dalle sue docenti…
La Rete Barbiana 2040 è al suo terzo anno di sperimentazione e di laboratori. Si sta muovendo con dei tempi che ritengo molto giusti, tempi di maturazione, di assorbimento delle esperienze e di gestione molto corretti. Dico questo perché quello che ho potuto vedere con le mie insegnanti, nel mio contesto scolastico, da settembre a oggi, è importante cambiamento nel loro modus operandi. Soprattutto nel loro setting mentale che in qualche modo ha trovato un riconoscimento, un senso e quindi poi uno sviluppo. E credo che sia questo l’obiettivo: trovare un senso alla vocazione di insegnante oggi.
E allora ritengo che queste esperienze che facciamo dentro la Rete vanno in qualche modo consolidate, con piccoli passi, ma molto strutturati. Sicuramente attraverso la condivisione della documentazione, la capacità di documentare non in maniera massiva ma intelligente, selettiva e strutturata, perché poi ciò che avviene nei laboratori deve trovare un’osmosi in quello che avviene nelle altre classi, nelle classi dove questo approccio non è stato ancora visto, o non è stato appreso perché magari non c’è stata ancora la sensibilità. Generare una ampia diffusione e condivisione, una comunicazione efficace credo possa essere il nostro prossimo obiettivo dei prossimi tre anni del progetto Barbiana 2040.
– Diffusione e condivisione poi però devono trovare terreno fertile perché possa essere accolta come possibile proposta di innovazione didattica. Come fare per predisporre condizioni favorevoli a questa occasione?
Il passaggio non è semplice. Non tutti i docenti sono pronti per accogliere un messaggio così cognitivamente e culturalmente forte. E’ un approccio sicuramente dirompente. Per questo motivo credo che la sensibilità degli insegnanti deve poter trovare un riscontro e un terreno fertile di confronto, di dialogo. Non credo in una scelta imposta con violenza, dall’alto. Ritengo molto di più opportuna un’accoglienza interessata e curiosa. Ho visto io stesso decollare il progetto ma con persone interessate e sorridenti, che da settembre a oggi hanno fatto un lavoro eccezionale proprio perché felici, contente, perché hanno trovato un senso al loro modo di insegnare.
La condivisione deve diventare contagio. Ma il contagio non deve arrivare dall’alto, dal dirigente che impone la direzione e il passo. Deve essere una scelta.
Così è stato per noi: abbiamo scelto inizialmente di partecipare a questo progetto anche se non ne sapevamo niente. Oggi, invece, continuiamo a scegliere di farlo perché vediamo un senso in quello che facciamo.
– E qual è il passaggio più delicato, per creare questo terreno fertile?
Una delle strategie dovrebbe essere quello dello scambio reciproco delle esperienze. Uno scambio dei docenti su classe parallele per poter far vedere reciprocamente come si può sviluppare questa attività. Poi c’è la visualizzazione di quello è che è la scrittura collettiva in termini anche in questo passaggio di documentazione, di prodotti grafici, immagini, testi, di tutto ciò che viene realizzato e prodotto. Non ci sia però l’ottica della competitività, “io sono più bravo di te”, assolutamente no. Anzi, sia invece l’offerta di una nuova opportunità realizzata e messa a disposizione degli altri. E da lì, poi si possa continua a lavorare e sviluppare insieme un percorso didattico. In questo passaggio, come ho potuto rilevare, conta molto anche l’attrazione fra docenti che si stimano e che in qualche modo poi diventa leva di stimolo e curiosità sul lavoro che sta facendo. Automaticamente scatta l’approfondimento e l’interesse sulla intorno alla novità.
– In sostanza, creare opportunità e dare visibilità a queste occasioni crea un ulteriore stimolo a partecipare…
Esatto, ma anche qui non solo. Questo effetto vale anche nei confronti delle famiglie, dei genitori. È importante far conoscere e far vedere la proposta anche alle famiglie. Perché se un genitore conosce il tipo di lavoro che si sta facendo in classe, lo si mette nelle condizioni di poter apprezzare il valore della proposta educativa, e renderlo a sua volta testimonial di quel progetto. Spesso genitori scoprono così da altri genitori che nella classe del proprio figlio quel percorso non è ancora stato fatto. E, anche qui come è già successo, si arriva a chiedere ai docenti, alle maestre il “perché non lo fate?”. Passaggio, devo dire, che si è già riscontrato in alcuni istituti. È il “perché non lo fate” che può arrivare a stimolare l’iniziativa stimolare o a proporre l’adozione di quella opportunità anche per altre classi.
– Formazione docenti è un altro passaggio essenziale di questo progetto. È un altro pezzo di quel valore aggiunto di cui si parlava all’inizio. Quale potrebbe essere la strategia formativa per rendere sempre più diffuso questo modello educativo?
Intanto la diffusività dei formatori. Devo dire che dal primo nucleo di partenza, in cui i formatori erano ancora pochi, oggi si sta costituendo un gruppo di più docenti che stanno scoprendo che possono fare i formatori. Docenti formatori interni alle proprie scuole, ma anche docenti che escono come formatori esterni per andare nelle scuole della Rete. Succede che con questa capacità formata di insegnare l’approccio e la tecnica della scrittura collettiva consente di mostrare e far vedere in modo diffuso il lavoro e aiuta molto i docenti che si avvicinano al progetto. Abbiamo così un vantaggio concreto: che la scrittura collettiva vissuta poi con il supporto digitale può essere tranquillamente finanziata anche attraverso le varie risorse del Pnrr. Questo apre anche a noi dirigenti, ma in generale alle scuole, una condizione ottimale per finanziare questo specifico progetto invece che andare a raschiare il barile o trovare fondi aggiuntivi.
– Le occasioni ci sono o si creano, quindi. E soprattutto esiste un desiderio di confrontarsi e di scambiarsi esperienze sul progetto fa la differenza e crea valore aggiunto al progetto...
Con una precisazione. Come sempre succede, senza una diretta esperienza laboratoriale, se cioè non si vede in azione un altro maestro che lavora e applica la tecnica con i bambini e i ragazzi, tutto diventa più difficile sotto il profilo concettuale. Ma attenzione: non è didattica laboratoriale questa, è qualcosa di ancora diverso. È la tecnica della scrittura collettiva, che vuol dire un approccio con i bambini quasi maieutico: parte da sollecitazioni di cui ogni bambino è protagonista, e in cui ogni bambino con le giuste strategie educative trova il proprio ruolo. E se ne appropria in maniera strutturale. Quindi, per le insegnanti sicuramente è un valore apprendere attraverso l’imitazione, ma lo stesso è importante immergersi insieme al formatore in questo percorso.
– La scrittura collettiva ha una forza di strumento interdisciplinare, si può applicare lungo un continuum che va dalle letterarie fino a quelle scientifiche, alle cosiddette Stem? O è un limite con cui confrontarsi?
Non è assolutamente un limite. Perché proprio nell’ottica della grande osmosi, il sapere è unico. E quindi la tecnicità, il fatto cioè di voler separare ambiti di appredimento o discipline, continua a essere una visione molto fittizia. Alla fine il bambino deve saper integrare all’interno di sé, e non a compartimenti stagni, quella che è la visione globale del mondo, quella che è l’esperienza globale del mondo. Tanto più scoprono che il mondo è così, perché si presenta costituito da contesti diversi, che utilizza discipline diverse, ma che alla fine l’esperienza è unica, e tanto meglio è.
– E docenti come fanno questo salto “culturale”?
Tutto sta nella loro nella sensibilità, nelle capacità integrative dei docenti di fare passare questa modalità operativa mentale. Va detto subito che non è nulla di trascendentale. Certamente implica un forte lavoro interiore del docente. Sta a lui trovare la capacità di uscire da schemi a volte un po’ troppo strutturali.
– Qual è il ruolo del dirigente nello stimolare l’adesione a questo nuovo modello pedagogico…
Qui sarei più cauto nelle indicazioni. Nel senso che io parto da questa idea: supponiamo che la scrittura collettiva sia uno strumento, sia cioè una calzatura comoda. Se è comoda non crea resistenza, non fa venire i calli, permettere di camminare comodamente, di correre e anche di fare salti. Se questo approccio mi dà tutto questo, allora ben venga. Partiamo cioè sempre dal concetto di avere tante sollecitazioni, dalle quelle culturali fino alle pedagogiche a quelle educative. Ma poi, alla fine, ci sono sempre le sensibilità personali. Quindi nel momento in cui un docente prova, sperimenta e si sente a casa perché ha trovato un senso, allora credo che a quel punto sarà lui a testimoniare con la sua serenità, attraverso un evidente senso di completezza che sta facendo la scelta che più gli piace e la fa nelle migliori condizioni.
Anche qui con un’attenzione in più, questo approccio non è il passaggio alla panacea. Al pari dell’avvento della digitalizzazione, transizione che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi, e come ogni innovazione o cambiamento in realtà hanno messo in evidenza anche molti problemi. Questo non significa che non resti un’opportunità, semmai anche se non risolve tutto, certamente mi fa fare domande differenti a cui devo dare risposte con dinamiche differenti.
– La scuola è appena terminata. La Rete del scuole di Barbiana 2040 con questo terzo convegno nazionale hanno fatto il punto del primo triennio e stanno impostando il lavoro dei prossimi tre anni. A settembre si rientrerà in classe. Quale potrebbe essere un consiglio a chi rientra i classe…
L’esperienza del progetto Barbiana 2040 si è dimostrato un progetto molto significativo nel percorso di rifondare paradigmi educativi carichi di innovazione didattica. Ripartire a settembre potrebbe essere importante prendere contatti con la Rete e cominciare a documentarsi leggendo le tante esperienze e materiali che la Rete in questi anni ha prodotto. Sono racconti trasparenti, sono tutte esperienze vere, coerenti e si potrà verificare che nessuna di loro è stata fatta come scelta patinata. Sono tutte scelte di frontiera. Aggiungo un altro consiglio: ascoltare le voci reali degli insegnanti. Sono testimonianze reali e sperimentate. Se si coglie questo valore, la portata di un’esperienza diretta di un laboratorio allora diventa automatico il prendere contatti con altri insegnanti, scoprire quali materiali sono stati prodotti e indagare sul tipo di lavoro c’è dietro a quel prodotto. L’efficacia del messaggio non deriva solo dal leggersi tutte le lettere di don Milani, che resta indubbiamente una bellissima lettura. Così come resta validissima Lettera a una professoressa. Benissimo. Ma occorre capirsi bene: oggi stiamo lavorando con quelle che sono una ispirazione, una visione, un paradigma. E poi c’è la vita vera, che è fatta di classi differenziate, con tanti bambini ciascuno con una propria peculiarità, con tanti bambini speciali e tanti docenti speciali perché anche loro, gli insegnanti, si portano dietro la loro cultura. Siamo di fronte a un valore nuovo, fatto di trasparenza, coerenza, autenticità.