Ho deciso di partecipare al corso sulla “Scrittura collettiva” perché, avendo letto alcuni anni fa Lettera a una professoressa, ne ero rimasta affascinata per il profondo senso di dignità degli studenti che scaturiva dall’intero testo e per l’alto valore educativo che avevo colto in questo approccio. Mi sembrava, quindi, un metodo del tutto centrato rispetto all’utenza con cui lavoro quotidianamente, così bisognosa di riconoscimento e di acquisire consapevolezza di sé, oltre che di strumenti linguistici per potersi esprimere.
Non ricordavo nello specifico l’altissima estrazione sociale di don Milani e la sua provenienza da una famiglia così colta, con una preparazione specifica sul piano strettamente linguistico ed etimologico. Ho così potuto apprezzare la capacità di mettere a disposizione di ragazzi provenienti da un’area svantaggiata sul piano culturale, un approccio educativo efficace e capace di considerare gli studenti nella loro globalità.
E’ proprio il fatto di qualificarsi come metodo educativo a tutto tondo l’aspetto centrale: qui l’etimologia del termine, tanto cara a Don Milani, rivela la profondità del lavoro svolto. Nel momento in cui ci si pone l’obiettivo di “e-ducare, ex-ducere, portare, condurre fuori”, si parte dall’idea che uno studente abbia dentro di sé “qualcosa” che va portato alla luce, va fatto emergere, affinché egli possa conoscere e realizzare pienamente se stesso. L’approccio è diametralmente opposto rispetto a quello della pura e semplice istruzione. Anche qui l’etimologia ci viene in aiuto: istruzione viene da in-struere: “costruire sopra, collocare del materiale in pile”, il che rimanda all’idea che lo studente sia una sorta di sacco vuoto da riempire.
Questa, come mette bene in evidenza Vito Mancuso (1), è la stessa radice di “strumento”, “struttura”, “costrutto”, “costruzione” e anche “industria”: “la macchina economica è consapevole del legame tra istruzione e industria e per questo istruisce i suoi giovani rendendoli strumenti in funzione della propria struttura”. Va da sé che è necessario acquisire conoscenze precise per poter svolgere in modo competente qualsiasi professione, ciò che non funziona è ridurre la formazione ad un accumulo di nozioni slegate tra loro e incapaci di far fiorire l’uomo. Ecco quindi che la scuola, l’ambiente educativo dove le parole prendono vita e spessore, è una delle più importanti opportunità che un ragazzo possa avere, nel senso etimologico di ob “verso” e portunu(m), “il vento che spinge favorevolmente la nave nel porto”, evitando così la deriva di una mancanza di comprensione della realtà, che in definitiva è anche una deriva esistenziale.
Una scuola capace di un profondo lavoro educativo è anche una scuola capace di accendere il desiderio, (de-sidera), di far avvertire quella “mancanza delle stelle” racchiusa nell’etimo di questo termine e che dice di una volontà di ricerca mai compiuta, dentro e fuori di sé.
(1) Mancuso, La mente innamorata , Garzanti, Milano 2022, p. 78