Nomine, concorsi, sostegno, precari: la scuola è già nel caos, l’Autonomia la seppellirà

“La stella polare della Costituzione”. Liliana Segre con la solita delicata raffinatezza intellettuale che la caratterizza, in uno dei suoi recenti interventi al Senato, “Che cosa può unire questo Paese?”, non ha esitato a evidenziare la miopia di presunte riforme istituzionali camuffate da ideologia e opportunismo politico. Un passaggio di quell’intervento risuona forte, carico di attualità mistificata, proprio di fronte al progetto di riforma di Autonomia differenziata appena approvato. “Se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – ha sottolineato Liliana Segre –, per altro con risultati modesti e talora peggiorativi, fossero stati impiegate per attuarle, il nostro sarebbe un Paese giusto e anche felice”.
Risultati modesti e talora peggiorativi, ha detto. In un momento in cui la scuola, a inizio d’anno, sembra nuovamente e pesantemente travolta dalle solite inefficienze: nomine in ritardo, nomine fatte e poi revocate, concorsi terminati tardi e vincitori senza ancora una cattedra, cattedre vuote per tanti studenti con disabilità, pochissimi docenti specializzati per il sostegno, continuità didattica interrotta. Senza sottolineare, come ha fatto su La Stampa, il filosofo Massimo Cacciari, “il grido di dolore” per i tanti lacci e lacciuoli che stroncano gli insegnanti più capaci. “Adempimenti burocratici di ogni tipo, formulari, schede, ciarpame metodologistico e pseudo-tecnico soffocano l’autentica didattica. Quella fondata su contenuti reali, autori, testi”.


È esattamente di fronte a questo nuovo caos della e nella scuola, alle prese con ben altre emergenze, che non si possono ignorare giudizio e allarme delle analisi del testo sull’Autonomia, da parte di ogni esperto. Vogliamo tornare su questo tema, oltre che per continuare a denunciarne l’incoerenza e i limiti – anche in vista dell’eventuale referendum -, per mettere a fuoco una volta di più i rischi questo testo ha per l’intero sistema istruzione, per la scuola, per la filiera educativa e quella strutturata della formazione degli insegnanti e docenti. Uno per tutti: l’uguaglianza educativa che la scuola dovrebbe garantire.
Il richiamo alla Costituzione non è fatto a caso: il primo rischio messo in evidenza da subito è per “l’unità nazionale, poiché contiene le condizioni per cristallizzare i divari esistenti e aumentare le disuguaglianze”. Il problema non è l’autonomia che è un valore in sé sancito anche dalla Costituzione, ma il fatto che la riforma “manca di una adeguata coniugazione con i principi di solidarietà e perequazione, di diritto a pari prestazioni a prescindere dal luogo di residenza, di unitarietà delle politiche pubbliche”.

La sintesi del disastro istituzionale che si potrebbe abbattere sul mondo della scuola pubblica è stato una volta di più ben fissato nell’ultimo rapporto, appena reso pubblico, da uno studio dal Forum Disuguaglianze Diversità, curato dall’economista Mariella Volpe, già consulente per la presidenza del consiglio dei ministri (Qui il rapporto integrale). Per questo vale la pena evidenziare una volta di più gli allarmi che emergono, da punti di vista nuovi. Il primo allarme è trasversale e comune a ogni capitolo: il principio di un sistema educativo unitario, indipendentemente dal territorio, viene minacciato da una riforma che potrebbe frammentare ulteriormente il sistema, con conseguenze più gravi per le regioni più svantaggiate, soprattutto nel Mezzogiorno. Il dettaglio delle osservazioni riserva altre preoccupazioni.

# Il rischio di disgregazione del sistema educativo
La regionalizzazione della scuola rischia di tradursi in un sistema scolastico frammentato, con programmi, risorse e criteri di reclutamento degli insegnanti che variano significativamente tra una regione e l’altra. Questo andrebbe a colpire – sostiene l’analisi di Volpe – uno dei principi fondamentali dell’istruzione pubblica: l’uguaglianza delle opportunità. A oggi, la scuola italiana svolge un ruolo cruciale nella riduzione delle disuguaglianze sociali, ma un’autonomia differenziata potrebbe minare questa funzione, creando un sistema educativo a più velocità.
Le disparità territoriali nell’istruzione sono ampiamente documentate dai dati del rapporto: tra il 2000 e il 2020, la spesa pubblica per l’istruzione ha subito un calo significativo, con un trend decrescente che ha colpito particolarmente il Sud. Nel 2020, la spesa dedicata all’istruzione rappresentava appena il 5% della spesa pubblica totale, in netto calo rispetto al passato, quando si attestava attorno al 5,7%. Questo disinvestimento ha colpito maggiormente le regioni meridionali, dove la spesa reale si è ridotta del 19,5%, un calo molto più marcato rispetto al -11,2% registrato nelle regioni del Centro-Nord.


# Disparità infrastrutturali e di spesa
Un altro elemento cruciale è la disparità nelle infrastrutture scolastiche. Nel Mezzogiorno, oltre il 71% degli edifici scolastici non dispone di un certificato di agibilità, mentre l’85,5% non ha una mensa e il 61,2% non è dotato di palestra. Questi dati mettono in evidenza quanto sia già ora più svantaggiato il sistema scolastico del Sud rispetto a quello del Nord, dove le strutture sono generalmente migliori. L’autonomia differenziata, senza adeguati meccanismi di perequazione e in conseguenza di una differente capacità fiscale, rischia di cristallizzare definitivamente queste disparità.
La spesa pro capite: sembra esserci un apparente vantaggio per il Mezzogiorno. Nel 2022 la spesa per la scuola e l’università è stata di 893 euro per studente, contro gli 802 euro del Centro-Nord. Tuttavia, questa cifra è fuorviante se confrontata con la reale popolazione scolastica, che nel Sud rappresenta una percentuale maggiore della popolazione complessiva. E infatti il divario si inverte: la spesa per studente nel Mezzogiorno è di 5.080 euro contro i 5.185 euro del Centro-Nord.


# Gli asili nido: una questione irrisolta
Le disparità si estendono anche alla disponibilità di servizi per la prima infanzia. Gli asili nido, fondamentali per lo sviluppo cognitivo e sociale – si sottolinea nel rapporto -, sono presenti in percentuali molto basse nel Mezzogiorno. Nonostante l’obiettivo europeo del 33% di copertura, solo poche regioni del Nord, come Emilia-Romagna (41,6%) e Toscana (38,4%), lo superano. In confronto, regioni come Campania (11,7%) e Sicilia (13%) sono molto lontane da questo target. La recente riduzione del target Pnrr per i nuovi posti negli asili nido (da 248 mila a 150 mila) aggrava ulteriormente il divario, soprattutto per le regioni meridionali.

# L’Autonomia Differenziata: un rischio per la scuola
Il rischio è che le regioni più ricche investano maggiormente nelle proprie scuole, mentre quelle più povere restino ancora più indietro, creando un’Italia sempre più divisa. La possibilità di differenziare programmi scolastici e modalità di reclutamento degli insegnanti potrebbe portare a sistemi educativi paralleli, con standard qualitativi molto diversi tra loro. “Questo significa  l’autonomia differenziata – conclude l’analisi della Volpe -, senza misure di perequazione e senza un piano nazionale che garantisca livelli essenziali di prestazioni (Lep) uniformi, rischia di frammentare il sistema scolastico italiano”. E accusa: “La scuola, da sempre strumento di uguaglianza, integrazione e inclusione, potrebbe trasformarsi in un fattore di divisione territoriale, consolidando le disuguaglianze tra Nord e Sud e privando milioni di studenti delle stesse opportunità educative”.

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