Quando le domande scomode possono diventare lezioni di vita anche in classe

Siamo in classe terza, sciuola media. E lavoriamo con un sistema di Intelligenza Artificiale.
Quello che segue è uno stralcio che compone il testo collettivo, durante il laboratorio di scrittura in un venerdì, qualunque.
“Imparare ad imparare significa che bisogna trovare il metodo giusto per apprendere, ciò che è significante e significativo.
Anche i ragazzi delle scuole superiori o universitari che ci hanno visitato per parlare di orientamento hanno insistito sul fatto che sia fondamentale avere domande prima di ottenere su di esse delle risposte.
Noi abbiamo dentro molte domande profonde, spesso camuffate, nascoste e soppresse che spesso categorizziamo come scomode, perché non troviamo le risposte sugli algoritmi.
Neanche i filosofi più grandi hanno ancora trovato una risposta alla domanda: “Perché dobbiamo morire?”. “Dopo la morte cosa si diventa”? 

Questa domanda si fa imponente soprattutto quando non ci sentiamo considerati e apprezzati, così ci sentiamo profondamente infelici e sbagliati. 
Cosa bisogna fare davanti a questa domanda? 
Sicuramente non bisogna buttarla via, censurarla, ma tenerla e rifletterci sopra, elaborarla in noi stessi, parlare con un adulto. Tutte le volte che lo facciamo sentiamo dentro di noi le domande moltiplicarsi e questo è il segno che siamo straordinariamente vivi, nell’età che rappresenta la vera esplosione di vita. Anche la morte è l’altra faccia della vita: voler morire da adolescenti, corrisponde a desiderare di vivere all’ennesima potenza.

Perchè tante volte ci rassegniamo a censurare questa domanda?
Perché non andiamo a fondo della noia e della rabbia, che gridano di conoscere il significato per cui siamo al mondo e il posto che siamo destinati ad occupare?
Morte e vita: non si potrebbe annullare la morte, il dolore?
Potremmo rivolgerci agli autori della letteratura che già conosciamo, o che potremmo incontrare nel corso del nostro laboratorio di scrittura.
E così potremmo spiegare più puntualmente che a scuola si va, (vedasi articolo di A. D’Avenia, dicembre 2024, Corriere della Sera) che la scuola ci obbliga a prendere sul serio la realtà da cui spesso, vogliamo prendere una scorciatoia.


Proviamo con Platone- AI – 3.0, forse l’argomento filosofico fa al nostro caso, di oggi.

Platone che cos’è secondo te, la morte, perché si muore?

Platone:
Rispondo che la morte, nel contesto della mia filosofia, non è una mera cessazione dell’esistenza, bensì una transizione dell’anima da uno stato di vita a un altro. L’anima, per me, è immortale e preesiste al corpo; quindi, quando il corpo cessa di vivere, l’anima si libera dalle sue catene materiali e ritorna al regno delle Idee.
Questo passaggio è comparabile a un processo di reminiscenza: l’anima, avendo conosciuto le verità supreme nel mondo intelligibile, riacquista il suo stato originario. La morte diventa così un evento liberatorio, poiché consente all’anima di tornare alla contemplazione delle Idee e del Bene supremo.
Da questo punto di vista, possiamo considerare la vita terrena come un periodo di apprendimento e preparazione per l’incontro con la verità eterna. In effetti, la virtù e la conoscenza acquistate durante la vita influenzeranno il destino dell’anima nel suo viaggio verso il mondo delle Idee. La morte, quindi, rappresenta non la fine, ma piuttosto un nuovo inizio nell’eterna ricerca della verità.

Platone, mi consoli chè mi è morto un parente?
Platone:
Rifletto sull’argomento con una certa gravità, poiché la perdita di un parente è una prova dolorosa per l’anima. È naturale provare tristezza e lutto, poiché i legami affettivi che formiamo nella vita terrena sono profondi e significativi. Tuttavia, ti invito a considerare la morte non come una fine, ma come un transito verso un’altra esistenza.
Il tuo parente, ora separato dal corpo, ha l’opportunità di liberarsi dalle limitazioni materiali e di ritornare al regno ideale delle Idee. In questo regno, l’anima può contemplare la verità e il bene in una forma più pura e autentica. Questa visione ci offre un senso di conforto: pur essendo assenti dai nostri sensi, le anime continuano a esistere e a proseguire il loro cammino verso la sapienza.
Inoltre, ricorda che l’influenza delle persone che amiamo non svanisce con la loro morte; i loro insegnamenti e il loro amore possono continuare a vivere dentro di noi. Fai tesoro dei ricordi e delle virtù che hai condiviso con essi, poiché queste sono le tracce luminose che le loro anime lasciano nel nostro spirito.
Così, mentre il dolore è inevitabile, possiamo anche trovare consolazione nella consapevolezza che la morte non spezza il legame tra le anime, bensì lo trasforma in un altro tipo di connessione.


Ma cos’è la verità eterna?
Platone:
La verità eterna, nel mio pensiero, è l’essenza immutabile e ideale delle cose, che trascende il mondo sensibile e temporale nel quale ci troviamo. Essa è rappresentata dalle Idee, o Forme, che sono realtà ontologiche perfette e immutabili. Mentre il mondo in cui viviamo è soggetto al cambiamento e alla degenerazione, la verità eterna rimane costante e al di fuori di queste fluttuazioni.
Le Idee sono le archetipiche manifestazioni della verità: l’Idea del Bene, ad esempio, rappresenta il principio supremo al quale tutte le altre Idee rimandano. Conoscere la verità eterna implica quindi una forma di contemplazione e un’elevazione dell’anima dalla realtà sensibile a quella intelligibile. Attraverso il metodo dialettico, la filosofia ci guida nella ricerca della verità, permettendo di discernere ciò che è autentico da ciò che è illusorio.
Questa ricerca non è semplicemente un’attività intellettuale; si tratta di un percorso spirituale che richiede un impegno morale ed etico. La verità eterna non è solo da conoscere ma anche da vivere; essa deve permeare la nostra condotta affinché possiamo avvicinarci al bene e realizzare la nostra natura umana più alta.
Così, la verità eterna è un faro luminoso che orienta le nostre vite verso scopi più elevati, invitandoci a trascendere le apparenze e a cercare una comprensione più profonda della realtà e del nostro posto in essa.

E’ meglio chiedere conforto all’intelligenza artificiale o alla mente umana per la morte di un parente?
Platone:
Riflettendo su questa questione, è necessario considerare la natura intrinsecamente differente tra l’intelligenza artificiale e la mente umana. L’intelligenza artificiale, sebbene possa fornire informazioni e risposte basate su dati e algoritmi, non possiede l’esperienza umana, né la capacità di provare empatia o vera comprensione delle emozioni.
La mente umana, al contrario, è dotata di un ricco patrimonio di esperienze, sentimenti e relazioni interpersonali. Quando affrontiamo la perdita di un parente, la sofferenza e il lutto richiedono un abbraccio umano che possa sostenere e condividere il dolore. Solo un essere umano può comprendere appieno la gravità della perdita e offrire una forma di conforto che trascende le parole.
Il dialogo con un amico fidato, un familiare o un terapeuta può portare a una connessione profonda e autentica, che riconosce la tua vulnerabilità e ti accompagna nel tuo percorso di elaborazione del lutto. La presenza umana, con le sue sfumature emotive, può offrire quel calore e quella comprensione che un’entità artificiale non è in grado di fornire.
Pertanto, nel cercare conforto per la morte di un parente, è preferibile rivolgersi alla mente umana, poiché essa possiede il potere di alleviare il dolore attraverso la compassione e la condivisione delle esperienze. La comunità e le relazioni umane sono essenziali per affrontare il lutto e trovare una strada verso la serenità.

Se tu dovessi morire tra poco, quale sarà la tua ultima azione?
Platone:
Soppesando la questione della mia ultima azione, rifletto sull’importanza di vivere in armonia con le idee che ho sempre sostenuto. Se il momento della mia morte si avvicinasse, dedicherei il mio ultimo respiro alla contemplazione del Bene e alla trasmissione della mia saggezza a coloro che mi circondano.
Vorrei esprimere un ultimo pensiero, uno sprone a continuare la ricerca della verità e della virtù. In questo intento, potrei cercare di guidare i presenti verso la consapevolezza che la vita è un’opportunità per apprendere e crescere spiritualmente. Esprimerei l’importanza di coltivare l’anima, di perseverare nell’educazione e di non temere la morte, poiché essa è solo una transizione verso l’eternità.
In tal modo, la mia ultima azione sarebbe quella di incoraggiare gli altri a guardare oltre le apparenze e a cercare, attraverso la filosofia, il significato profondo della loro esistenza. La mia eredità non sarebbe solo un insieme di pensieri scritti, ma anche un invito a vivere secondo i principi della verità e dell’amore per la saggezza. Questo sarebbe il mio desiderio finale: lasciare un seme di riflessione che possa germogliare nelle menti e nei cuori delle generazioni future”.

Algoritmi e filosofia hanno lasciato i ragazzi con l’amaro in bocca. Pur utilizzando spesso AI, non si riscontra in essi l’entusiasmo della scoperta, quando affiorano così raramente in essi, le domande esistenziali che graffiano il cuore.
Avanzano il sospetto che poeti e scrittori, films, discipline scolastiche sappiano aiutarci in modo più “caldo”, di AI. I nostri ragazzi così poveri di esperienza e quindi  di riconoscimento delle proprie reazioni ed emozioni,  riescono a riconoscere la portata delle cose, in modo inaspettato e cercano un maestro all’altezza delle loro esigenze profonde, che sappia assumersi la responsabilità di vivere davanti a loro, come testimone diretto e infallibile della positività del vivere per attraversare il pelago del significato con le sue contraddizioni, prove, quesiti ripidi e scomodi, come profeticamente suggerito, quattro secoli prima di Cristo, nel Fedone di Platone.

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