La crisi degli insegnanti di sostegno: tanti, troppi, precari e con formazione insufficiente

Fra crisi, paradossi e legittimazioni. Gli insegnanti di sostegno in Italia sono tanti, forse anche troppi. Con una preparazione insufficiente, di bassa qualità e una precarietà dilagante.
E’ questa la reale fotografia del sostegno a scuola oggi? Il quadro descritto è lontano quanto più possibile dalla realtà. I corsi di formazione per il sostegno didattico agli alunni con disabilità rappresentano uno dei pilastri del sistema educativo inclusivo italiano. Sono percorso formativi impegnativi, articolati ed estremamente selettivi sulle competenze pedagogiche, disciplinari e relazionali.
Lo scontro è ancora aperto. Il primo sasso lo ha lanciato Carlo Cottarelli, economista famoso per la sua attentissima e tagliente analisi della spesa pubblica. La replica è dei professori dell’Università chiamata a formare i nuovi docenti.
Nella sua ultima analisi però, Cottarelli, nelle vesti di direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani della Università Cattolica (Ocpi), definisce il sostegno scolastico “un paradosso, un sistema in affanno e non più sostenibile”. Occorre spostare il focus dalla quantità alla qualità, affinché l’inclusione scolastica sia veramente efficace per tutti gli studenti con disabilità. E fa un passo in avanti con una serie di proposte, come la cattedra inclusiva per favorire più integrazione e responsabilizzazione.

Ma l’affondo di Cottarelli arriva anche con i numeri. Gli insegnanti di sostegno – precisa nel suo report del 24 gennaio 2025 – in Italia sono ormai quasi un quarto del totale. L’aumento massiccio degli ultimi anni, più forte di quello degli alunni con disabilità, è stato facilitato dal fatto che il numero di posti viene determinato dalle singole regioni, derogando dalla norma che indicherebbe come standard la disponibilità di un insegnante di sostegno ogni due studenti, quindi con un rapporto di 0,5 tra numero di docenti e studenti. La media nazionale è ora di 0,7, ma con forti differenze tra regioni: ci sono molti più insegnanti al Sud e al Centro che al Nord, con massimi nel Molise (1 per alunno) e minimi nel Veneto (0,5 per alunno).


La replica, almeno a investire la denuncia sulla qualità della formazione, arriva dalle colonne del quotidiano economico Il Sole24 Ore. La scrivono tre autorevoli esponenti del mondo dell’Università. Giovanna Iannantuoni, Lucio d’Alessandro e  Massimiliano Fiorucci, rispettivamente Presidente Crui, rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa e rettore Università Roma Tre, mettono sul tavolo i numeri dell’impegno del sistema formativo universitario. Se è vero che negli ultimi dieci anni sono stati inseriti 200mila insegnanti, questi sono tutti “docenti specializzati”, con alle spalle “lezioni teoriche, laboratori, attività pratiche e tirocinio diretto, con un focus sulle competenze pedagogiche e metodologiche specifiche per gli alunni con disabilità e un tirocinio obbligatorio di 150 ore (cinque mesi nelle scuole) e una prova finale per conseguire la specializzazione”. Un contributo, sottolineano i tre accademici, “che è stato cruciale nel rispondere alla crescente domanda di insegnanti specializzati”.
Non solo. La replica dei professori universitari sottolinea anche che si è sempre data una “risposta tempestiva e di indubbia qualità, nonostante le difficoltà legate alla gestione di grandi numeri di corsisti e alle risorse limitate”.
I numeri forniti anche da questo fronte sono categorici: +19.476 dei posti messi a disposizione fra primo e settimo ciclo di formazione, per le scuole di tutti gli ordini e gradi, e 6.443 posti tra settimo e nono ciclo: totale +25.919 posti, un aumento per la scuola media di 1.693 e di 4.975 per la scuola superiore.


Ma anche i numeri di Cottarelli sono determinanti. E nonostante non metta mai in relazione causale i due fenomeni (formazione garantita dall’università e sistema in affanno o preparazione insufficiente) Cottarelli sottolinea che se il numero è molto alto, “è la qualità che scarseggia: quasi il 30% dei docenti di sostegno non ha frequentato il corso di specializzazione e il 59% è precario”. Ed è anche la condizione lavorativa di questi insegnanti a sollevare preoccupazioni. Il 59% degli insegnanti nel 2022-2023 aveva un contratto a tempo determinato, mentre solo il 14,5% aveva un posto comune. Condizione che compromette non solo la qualità dell’insegnamento, ma anche una forte instabilità per gli studenti con disabilità: il 59% di loro – denuncia l’indagine dell’Ocpi – ha cambiato docente di sostegno rispetto all’anno precedente, compromettendo il legame di fiducia e l’efficacia dell’inclusione scolastica.

E allora Cottarelli si domanda: “Non sarebbe meglio avere meno docenti di sostegno – si chiede -, ma più qualificati, stabili e coordinati con gli altri docenti, per garantire un’inclusione più efficace ed efficiente? In ogni caso – conclude -, ogni riforma dovrebbe essere preceduta da un’ampia valutazione dell’efficacia del programma”.
Torna a battere sul tasto della formazione, troppo carente: nel 2022-2023, il 29,6% degli docenti non aveva la specializzazione richiesta. Il problema è più grave al Nord, dove il 41,8% dei docenti non è specializzato, contro il 15,3% del Sud. Le cause sono molteplici: il numero di posti disponibili per il Tirocinio formativo attivo (Tfa) è limitato e distribuito in modo ineguale, con il 52% delle opportunità al Sud, il 33% al Centro e solo il 14% al Nord. “La carenza di docenti formati ha portato all’assunzione di insegnanti non specializzati – si legge nel report di Cottarelli -, con possibili ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento”.
Si è cioè privilegiata la quantità: negli ultimi due decenni, i docenti di sostegno sono aumentati in modo vertiginoso. Nel 2022-2023 si contavano 217.796 insegnanti, il 23% del totale dei docenti, con un +163%  sul 2003-2004. Gli alunni con disabilità sono cresciuti meno, da 216.452 nel 2015-2016 a 312.235 nel 2022-2023. Il rapporto insegnanti-alunni con disabilità è salito da 0,59 nel 2016-2017 a 0,70 nel 2022-2023, oltre lo standard fissato allo 0,5.


Ma sotto questo profilo i tre accademici guidati da Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori italiani, evidenzia anche una potenziale criticità. “Il sistema universitario è perfettamente in grado di rispondere al trend di crescita dei prossimi anni. Ma è necessario distinguere tra la capacità strutturale delle università – affermano gli accademici – e le difficoltà sistemiche legate all’incremento delle certificazioni di disabilità e alla conseguente domanda di insegnanti di sostegno”. Una criticità che nella pratica si presenta come difficoltà  “ad aumentarne la capacità formativa, soprattutto nelle regioni con maggiore carenza di docenti specializzati, ma anche a potenziare il sistema di reclutamento senza compromettere gli standard di qualità”.
Se il quadro è questo, il report dell’Osservatorio sui conti pubblici non lesina proposte di riforma per migliorare l’efficacia del sistema. Al primo punto raccoglie la proposta presentata da un gruppo di insegnanti e docenti universitari (si può leggere qui) l’istituzione di una “cattedra inclusiva”. Tradotto, prevedere che parte dell’orario dei docenti di posto comune sia dedicato al sostegno, per favorire una maggiore integrazione e responsabilizzazione. Al secondo punto, una maggiore formazione: aumentare i posti disponibili per il Tfa, necessario per diventare di ruolo, così da garantire una formazione più accessibile e omogenea su tutto il territorio. In ultimo, il pacchetto di proposte, guarda a come ridurre la precarietà: stabilizzare un maggior numero di insegnanti di sostegno per garantire continuità didattica e ridurre il turnover annuale. Proposte efficaci per rivedere il modello? Nemmeno il confronto con quanto succede all’estero sembra dare una risposta definitiva.


L’italia, come si è visto, ha il più alto numero di docenti di sostegno in Europa, ma questo non si traduce in un migliore successo scolastico per gli alunni con disabilità. In Italia, inoltre, il 97% degli studenti con disabilità è inserito in classi comuni, contro l’86% del Portogallo, l’85% della Grecia e l’83% della Spagna. Ma l’ultimo dato arriva dal livello di capacità inclusiva: il 29,5% delle persone con disabilità tra i 18 e i 24 anni in Italia ha solo il diploma di scuola media, rispetto a una media UE del 22,5%. “Ciò significa che il numero di insegnanti di sostegno – spiega il report – da solo non garantisce un’inclusione efficace, e che altri Paesi con meno docenti di sostegno ottengono risultati simili o migliori attraverso un migliore coordinamento tra docenti e docenti di posto comune”. In ogni caso “in qualunque direzione ci si voglia muovere, sarebbe utile partire da una valutazione più approfondita del nostro sistema – è il monito di Cottarelli – con un’ampia analisi costi-benefici. Non ci risulta che il Ministero abbia mai pubblicato niente al riguardo”.

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