Come attivare il processo di liberazione?”
Edoardo Martinelli mi ha lasciato una domanda bollente, una bomba che corre il rischio di scoppiarci tra le mani se non impariamo a disinnescarla. Sarei tentato di rigirare la domanda agli insegnanti ma passerei per vigliacco, caro Edo perché la verità è che penso e ne sono fermamente convinto, che ognuno deve fare la sua parte, a partire da noi preti a seconda di “come vi suggerirà l’epoca in cui vivrete” diceva don Lorenzo e sono sicuro che oggi aggiungerebbe “ciascuno con i neuroni che ha e nel posto in cui sta”.
Intanto chiediamoci se è possibile attivarlo questo processo di liberazione. Guardiamoci un attimo dentro e proviamo a essere onesti, almeno con noi stessi.
Abbiamo il coraggio di pensare che è possibile attivare il processo di liberazione?
“Vuoi tu guarire”? dice qualcuno 2000 e rotti anni fa. Lo vogliamo davvero? La vogliamo davvero la libertà di spaziare ognuno nelle nostre individualità e scoprirle, caso mai, autentiche, uniche ed inimitabili? Vogliamo davvero correre il rischio di trovarci invasi da una libertà implosiva che andrebbe a sgretolare tutte le nostre false credenze stereotipate ed i nostri canali abitudinari del “si è sempre fatto così”? SIAMO ONESTI.
E parimenti abbiamo il coraggio di rendere i nostri ragazzi liberi di mandarci a quel paese per tutti i guai che abbiamo combinato e per come gli stiamo lasciando questo mondo?
Liberi di CONTESTARE E RIBELLARSI al sistema, alle convenzioni, agli stereotipi, dando fastidio, (o come direbbe don Lorenzo, “stando sui coglioni a tutti”?
Abbiamo il coraggio e l’onestà di non metterli a tacere avvalendoci della nostra condizione di superiorità (anagrafica o di ruolo)?
TORNIAMO A NOI lasciando che questa domanda sedimenti un po’, aleggi o volteggi nell’aria come un semino che non sai mai dove andrà a radicare.
IN RIFERIMENTO A BARBIANA 2040 e all’overshoot day, il giorno che indica l’esaurimento ufficiale delle risorse rinnovabili che il Pianeta è in grado di offrire nell’arco di un anno.
Dicevo, sulla data 2040, in rete ci sono autorevoli studi tutti ben articolati e suffragati di dati e altrettanto ben contrastanti tra loro dove viene detto da una parte che si stima che nel 2040 la plastica dovrebbe dimezzare, da un’altra che si stima che ci sarà un incremento dell’80%.
Questo solo per fare un esempio di come siano ben confuse tra loro le idee, le analisi ed i propositi di chi ci dovrebbe dare degli indicatori di massima.
Nel frattempo noi e i nostri giovani siamo in quella terra di mezzo e, arrancando, ci incamminiamo inesorabilmente verso il declino. Se le cose non cambiano.
E SE NON PRENDIAMO LA DECISIONE DI ATTIVARE QUESTO BENEDETTO PROCESSO DI LIBERAZIONE.
Nel piccolo, tra noi comuni e pazzi mortali, …2040 è una visione di una meta verso un mondo migliore e mi pare di intuire, guardando gli ospiti oggi, che siamo un po’ tutti visionari. Grazie a Dio.
Non sappiamo, allo stato dell’arte, se è possibile, pensando alla data di scadenza (2040), recuperare qualcosa, non sono un tecnico, non mi occupo di algoritmi e non sono più nelle scuole come insegnante. Vengo invitato spesso a tenere colloqui informali e a rispondere alle domande che i ragazzi NON (e sottolineo NON) fanno ai loro professori. Posso parlare della mia esperienza con i giovani fuori dalla scuola, luci nella notte, incontri con i giovani, che tengo quasi quotidianamente, dell’Esperienza GMG a Lisbona ecc e posso dire con molta onestà che i silenzi dei giovani PARLANO CHIARO.
I ragazzi hanno bisogno e lo richiedono a gran voce, con i loro silenzi, con i loro isolamenti, urlando, di essere presi in considerazione e di avere un posto nel contesto in cui vivono. Hanno bisogno di sentirsi utili, di sapere che hanno un posto loro nella società e non solo ALL’INTERNO DEI LORO ACCOUNT, nella loro cameretta isolati dal mondo. A tal proposito, IN RIFERIMENTO AL NATIVO DIGITALE DI CUI PARLAVI PRIMA, EDUARDO, E ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, caro Edoardo, ma tu lo sai che digitando in chat “AI” (ricerca con l’intelligenza artificiale) non compare né Barbiana 2040, né il tuo nome!!! Grazie a Dio!!
Questo ci fa pensare che ci sono ancora motivi per sperare in un futuro evolutivo per i giovani, ancora non “artificializzati intelligentemente”. Voglio dire, se c’è un aspetto che l’intelligenza artificiale non scruta, del quale non ha elementi per sciorinare il suo sapere, c’è ancora possibilità di restare “umani” e forse i giovani, da quel che sento, vedo, esperimento, hanno proprio bisogno di questo, e non ti sembra una valida ragione per sperare che qualcosa possa cambiare, in meglio?
I ragazzi hanno sete di normalità, di semplicità, di cura, attenzione.
Con l’attività/progetto/visione che a Ischia abbiamo chiamato “verso il prossimo passo” ho visto come siano rimasti entusiasti ed anche sorpresi nello scoprire che esistono realtà “sperimentabili” delle quali, sul display del cellulare non vi è traccia. Delle quali nessuno di noi può trasmetterne alcunché perché gli odori, le emozioni, i colori, le suggestioni (su suggestioni enfatizza) li puoi solo vivere, sperimentare, attraversare.
Il progetto inserisce ragazzi provenienti da situazioni familiari difficili e nasce, inizialmente, come esigenza di sostenere il percorso scolastico nelle fasce pomeridiane quando il ragazzo è solo con se stesso e le sue lacune, i suoi muri alzati ed il suo isolamento. Parliamo di persone che non si possono permettere delle ripetizioni o dei doposcuola privati. Di persone che vuoi per motivi di lavoro dei genitori, vuoi per l’assenza degli stessi genitori, vuoi per incapacità degli stessi, ove presenti, di fatto nel pomeriggio erano abbandonati a loro stessi.
Dalla scuola perveniva una timida richiesta di aiuto e mentre si pensava, tra collegio docenti, rappresentanti di istituto e varie compagini scolastiche, sul cosa fare, come farlo, quando farlo, un gruppo di persone si sono organizzate e hanno creato un doposcuola in maniera audace, forse un po’ incosciente, inizialmente anche deriso, se vogliamo, ma intanto ha funzionato ed i ragazzi hanno fatto i compiti, hanno recuperato le lacune, hanno fatto merenda ed hanno giocato. Soprattutto hanno sperimentato la ricreazione, lo stare insieme ed il collaborare tutti perché il progetto funzionasse.
A MODO NOSTRO ABBIAMO RIPROPOSTO SECONDO I TEMPI ATTUALI L’IDEA DI UNA SCUOLA CHE RICORDA la “skolè, tempo dell’indugio e della lentezza”.
Non avevamo nessuna campanella e nessun programma ministeriale da seguire pedissequamente, non avevamo interrogazioni né voti da mettere.
Se vuoi puoi parlare dei tutor (ragazzi giovani) dei volontari prof in pensione che abbiamo rimesso in gioco, delle catechiste che si sono trasformate in bidelle e far confluire il discorso in un concetto: “Nessuno è rimasto ancorato al proprio ruolo e tutti sono stati intercambiabili”.
Alla fine del secondo anno scolastico abbiamo pensato di dare continuità al percorso anche in estate, perché abbiamo capito che con la chiusura della scuola questi ragazzi rimanevano tra parentesi, tra color che son sospesi. Nella migliore delle ipotesi, chiusi in casa e disconnessi dal mondo circostante. Nella peggiore, uscendo di casa rimanendo disconnessi comunque. Abbiamo “aderito al territorio” anche vincendo facile, in tutta onestà. A Ischia certamente è più agevole che si chiudano le scuole e ci si trovi comunque qualcosa da fare, fosse pure una passeggiata guardando il mare. Ma provate a schiodare un ragazzo che resta 365 giorni all’anno incollato nella sua realtà virtuale di tik tok, di bee real, instagram e altre oscenità.
Così ci siamo reinventati, li abbiamo fatti impastare acqua e farina in un master class improvvisata di un ristoratore a riva mare, per poi mangiare gli gnocchi che loro stessi avevano preparato, li abbiamo portati da un apicultore in alta montagna ed hanno mangiato il miele direttamente dagli alveari intingendo il ditino e trovando quel nettare “spaziale”. Hanno guardato le api come se le vedessero per la prima volta ed hanno scoperto che non solo non fanno paura ma che forse se scomparissero, c’è il serio rischio che il mondo andrebbe in rovina più velocemente di quanto previsto. Hanno scoperto l’importanza del polline, della propoli e di tutta la catena biologica che coinvolge gli alveari.
CERCHIAMO IL MOTIVO OCCASIONALE PER PARTIRE
Durante la visita al maneggio, che non è un banale giro sui cavalli, hanno scoperto l’empatia con questi quadrupedi ed il loro ambiente, dal loro nutrimento che va fatto in un certo modo e con determinati alimenti e a certi ritmi; al loro accudimento, il giaciglio, che deve essere morbido e accogliente, tanto che hanno sperimentato essi stessi il contatto con il morbido fieno, a piedi nudi.
Li abbiamo messi in contatto con le loro fisicità, i loro limiti, le loro paure, con delle lezioni di vela, che se non le facciamo a Ischia che c’è il mare, dove potremmo mai tenerle?
Scoprono così di avere un corpo, di poterlo mostrare senza la paura del giudizio, di poter stare in equilibrio, di potere anche governare una vela e riuscire a muoversi dal porto (che tutto sommato così sicuro non è) con le sole forze loro e la spinta della natura che con il suo vento, tutto sommato, così arcigna non è. Scoprono che la fatica che sentono nei tendini e in muscoli che nemmeno sapevano di avere, ha un suo perché, una sua utilità ed anche qui INSERIAMO A MODO NOSTRO E SOMMESSAMENTE UN MOTIVO OCCASIONALE DAL QUALE PARTIRE PER ARRIVARE AD UN MOTIVO PROFONDO e quindi l’acido lattico, l’importanza dell’allenamento o della non sedentarietà, l’importanza di alzare lo sguardo verso l’orizzonte mantenendo una posizione eretta e tutto quello che ne consegue.
Poi le lezioni di pallavolo, la socializzazione, la disciplina e la distribuzione nel quadrante di gioco, l’importanza di ogni ruolo, chi batte, chi alza, chi respinge, chi schiaccia ed il risultato finale che non guarda al punteggio ma all’armonia della cosa. E poi l’alba sul monte Epomeo, dove abbiamo visto che anche alla loro età il sacrificio della lunga marcia in salita, ad un’ora impossibile, (li abbiamo fatti alzare alle 4) restituisce emozioni uniche che difficilmente sono ripetibili su youtube.
Hanno scoperto che nei video non senti il contrasto dell’umidità della notte con l’afa di una giornata in pieno agosto, non senti il profumo dell’erba ancora fresca di brina e non percepisci il crepuscolo del mattino mentre lentamente, ma inesorabilmente, rischiara. Hanno scoperto la sopraffazione di un panorama che pur vivendo sull’isola, non avevano mai avuto il coraggio di andare a ricercare, sopraffazione e meraviglia, meraviglia e stupore, elementi dei quali non fanno così spesso i conti, dentro il loro smartphone o dentro i loro isolamenti (citare Chesterton: ”Il mondo non morirà per mancanza di meraviglie, ma morirà per mancanza di meraviglie”. Abbiamo spento i loro desideri. Non desiderano più nulla..
Poi li abbiamo fatti “giocare” con le emozioni” che oggi sembra tanto una parolaccia….
Sperimentando, da un MOTIVO OCCASIONALE qualunque, (presentiamoci, spostiamo le sedie o mettiamoci seduti come meglio crediamo) profondità che nemmeno loro si aspettavano, scoprendo che anche loro, gli ultimi, quelli senza un cognome altisonante, hanno una intelligenza emotiva unica, irripetibile, preziosa, autentica. Hanno scoperto che tra loro possono connettersi senza cellulare, attraverso corpo, voce, pensieri, storie e che le storie personali possono intrecciarsi con le storie di altri. Hanno scoperto che un “gioco” funziona non solo se il conduttore dà una linea ma anche e soprattutto se diventa un momento responsabile di confronto nel quale, ciò che rappresenta l’altro (diverso da me) interessa a tutti, proprio per far andare avanti e farlo funzionare, il gioco. Che ridiventa, torna ad essere, motivo occasionale per il “prossimo passo” che va verso un motivo più profondo. Ecco che il gioco diventa momento di democrazia e un esercizio in cui oltre a capirsi, ci si comprende e ci si vede pure.
In tutti questi momenti collettivi, si generano atti responsabili già in modo naturale; nel nostro caso l’incontro in questione è stato svolto in un luogo protetto, il centro Papa Francesco, e questo conferisce all’andamento dell’esperienza un valore aggiunto, dove lo spazio e il tempo scuola è diverso dalla comune aula, aderendo in questo modo al territorio in cui si sta (spiaggia, maneggio, mare) nella stagione in cui si sta (nel nostro caso estate). Anche negli incontri con i giovani un po’ più grandicelli devo sempre tenere presente il momento in cui stiamo “tra il passato e il futuro” senza omettere di averli sempre presenti entrambi.
Per molti è più comodo, meno impegnativo stare da una parte o dall’altra, o bianco o nero, o dalla mia parte o contro di me, LA SFIDA OGGI è condurli proprio su quel filo di rasoio perché stiano in equilibrio armonico tra le due sponde, perché oltre al bianco e il nero, c’è una variegata scala di grigi, più chiaro, brillante, più scuro e così via.
E tutto questo ovviamente, in maniera più laica possibile. Tenete presente che nei nostri gruppi abbiamo persone di religione musulmana, qualcuno si professa laico, ecc. a noi non importa.
Nei nostri incontri ognuno è libero di manifestare la propria individualità (ovviamente nel rispetto degli altri) e tentiamo, nel piccolo, di scardinare a modo nostro le false certezze convenzionali. Pensate, in un incontro giovani, che si teneva in una chiesa dell’isola, subito dopo la messa che ho celebrato, i ragazzi non hanno nessun obbligo di assistervi, anzi, molti entrano solo dopo la messa, un giovane, dopo che io chiesi a tutti di presentarsi, intervenne dicendo “sono tizio, sono ateo e sono gay”. Non mi scomposi proprio, avevo da poco celebrato la Messa e gli dissi “ti ho chiesto il nome, non il genere, né la religione. E si continuò in maniera armonica.
Riflettevo su un’espressione del Priore: Essere fedeli a un morto è la peggiore infedeltà. Se per il nostro Lorenzo, “il sapere e l’esperienza religiosa passavano attraverso l’autonomia del soggetto e non il suo indottrinamento” oggi più che mai è di fondamentale importanza rispettare le diversità e non violarle. La laicità è un abito mentale che tutti gli educatori, non solo i docenti, dovrebbero possedere.
Quando i ragazzi che incontro vedono la mia “attitudine o predisposizione alla laicità” del momento, sbarrano gli occhi perché non se lo aspettano, come non si aspettano la libertà di pensiero a cui li invito caldamente per non cadere nella tentazione di essere manipolati. Oggi l’essere manipolati non è più un’azione passiva ma una scelta attiva. Anche quando non si sceglie, si opera una scelta. E siamo tutti responsabili. E come diceva don Lorenzo, oggi come allora “I ragazzi di oggi non sanno utilizzare le competenze nei contesti reali!”
Nella nostra realtà, piccola, rispetto ad una diocesi di più ampia portata, cerco di predicare poco, molto poco, puntiamo sull’esercizio, cioè sull’esercitare in maniera coerente tra quel che dico e quel che faccio, in armonia tra parola e pensiero, tra teoria e pratica. Quando per esempio ho parlato di pellegrinaggio con sacco a pelo e poi ho accompagnato 47 giovani , molti minorenni, a Lisbona, alla mia età e con gli acciacchi che il tempo dona a tutti, chi più chi meno, ho dispiegato il mio di sacco a pelo e vi ho dormito dentro, accanto a loro.
Non me ne vogliano i presenti, docenti, presidi, educatori, ma penso, che La scuola ha fallito nella ipotesi più ottimistica della realtà; che abbia raggiunto lo scopo “dell’oppressore”, come chiamava don Lorenzo Milani chi stava in alto, nella peggiore. Qualcuno disse “a pensar male si farà pure peccato ma in genere ci si azzecca sempre”. Io non sto nella scuola, non aderisco a nessun programma, partecipo a incontri scolastici ove invitato. Io sto in strada, sgretolo le convinzioni assunte e a dire il vero poco convincenti, instillate nei giovani che arrivano a me come contenitori pieni di nozioni, precetti, ordini, comandamenti, e vuoti di contenuti radicati, vuoti di identità. Negli incontri che tengo “LA PAROLA COME PERSONAGGIO” fa da arbitro in una partita da ping pong, dove la parola viene timidamente lanciata, poi meno timidamente rilanciata, poi liberamente espressa, fino a restituirla mediante reinterpretazione in aderenza con la realtà del momento, e conseguente invito alla metabolizzazione.
Generalmente i giovani che partecipano agli incontri se ne vanno più confusi che persuasi ed è in quell’assenza di soluzioni preconfezionate che avviene il miracolo o la grazia del TURBAMENTO DELL’ANIMA. Vengono aspettandosi delle risposte da me. Io li invito a “flirtare” col problema.
“Questa società – ci diceva profeticamente il Priore – creerà bisogni all’infinito e distruggerà lentamente l’anima dell’uomo”. E qui sorge spontaneo chiederci come vediamo l’esplodere del disagio tra i ragazzi del nostro tempo, vedi Palermo, Caivano, il fenomeni delle baby gang?
Mi sembra che coesistono due fenomeni: da una parte la tendenza all’autoisolamento, la diffusa perdita di speranze, la difficoltà di vedere il futuro. Ma non è solo questo, il senso di rinuncia convive con un atteggiamento opposto: la rabbia, la violenza, la prepotenza del bullismo, le baby gang (esperienza ragazzo di Napoli): io li definisco i “ragazzi termos”, duri fuori e fragile e vuoti dentro. Non è un fenomeno nuovo, se ci si pensa. Negli anni in cui eravamo giovani una parte dei ragazzi precipitò, fino a morirne, nell’eroina, la cui improvvisa esplosione è un fenomeno mai indagato davvero, e un’altra nel terrorismo che, in fondo, era una forma di indifferenza e di cinismo nei confronti della vita altrui. E persino della propria. Se si vuole il racconto più drammatico di quella condizione di disagio bisognerebbe rileggere le lettere a Lotta Continua. In quel tempo esisteva, infatti, una diffusa e coinvolgente partecipazione politica e civile. Ciò che manca, oggi. Sia chiaro, comunque: un adolescente non inquieto è inquietante.
Edoardo, tu mi chiedevi cosa penso degli sviluppi tecnologici annunciati, come il visore Apple e l’intelligenza artificiale?
Tim Cook ha ragione a dire che il visore sarà una rivoluzione. La terza tappa: il computer, l’Iphone, ora il visore. Ma il visore porta a un mondo prevalentemente virtuale. La prima cosa che mi viene in mente è la follia. Il mondo della psicosi è sempre stato descritto come un mondo altro, in cui tu costruisci una tua vita virtuale. Parli da solo, pensi da solo. È l’uomo sull’albero di Amarcord di Fellini. Mondi altri, costruiti per sfuggire a quello reale. Che inquieta, fa soffrire. Il virtuale è stare su quell’albero.
Purtroppo il nostro tempo è causa di infelicità. Mi viene in mente il caso del “ragazzo selvaggio” magnificamente raccontato nel film di François Truffaut. Un adolescente trovato nel bosco dove aveva trascorso i primi dodici anni della sua vita che si cerca di riportare nel mondo civile. Siamo in pieno illuminismo e la domanda che si fanno i medici che lo curano è: la civiltà porta felicità? Nel caso del ragazzo la risposta è no. Non riuscì mai a integrarsi, morì infelice.
Perché citare questo caso? Perché questo è il tema. E se le tecnologie, nel separarci e relegarci in un mondo virtuale costruissero la nostra infelicità? “Think different” diceva Apple: era un messaggio di libertà, di innovazione, era una promessa di libertà e di felicità. È stato davvero così? Gran parte del disagio giovanile nasce o si alimenta in relazione con questi strumenti. Torniamo all’illuminismo: liberté, égalité, fraternité. Cos’è la fraternitè, Facebook? E cos’è la libertè, il metaverso? Tutto questo crea appagamento, dipendenza o maggiore libertà? Forse è venuto il momento di ragionarne senza le catene dell’ovvio o del politicamente corretto imposte dallo spirito del tempo.
Cosa dire poi del conflitto generazionale? Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene.
A me sembra che si sia spento il desiderio, da quello sessuale a quello di cambiare il mondo. Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare. E la stessa sessualità oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo. Sanno “coittare” ma non sanno amare. E qualcuno si chiede se è giusto non dare ai ragazzi il cellulare prima dei dodici anni.
So per certo che bisogna far venire ai ragazzi la voglia di fare a meno di un uso parossistico del cellulare. Bisogna inventare altri interessi, il bisogno di relazione e di scambio. Possibile che la tradizione educativa italiana — Montessori, Lodi, Don Milani — non produca una cultura del desiderio di conoscenza e di profondità? Io ai ragazzi di quell’età non darei il cellulare, farei insieme a loro le ricerche per aiutarli a decifrare i codici della comunicazione digitale. Così come non capisco come si possa, da parte dei genitori, pensare di geolocalizzare i figli. Se ne comprime la libertà per placare le proprie ansie. Tutte ansie individuali. Bisogna fare insieme, non da soli.
Nell’esperienza delle generazioni precedenti l’unico momento di giudizio sociale era la scuola. Spesso duro ma contenuto nelle dimensioni. Ora ogni adolescente può essere destrutturato da un giudizio che diventa subito universale. Di qui il bisogno costante di conferme della propria autostima.
L’esposizione permanente, l’esistenza di un proprio pubblico, quello dei follower, il carattere virale di ogni forma di comunicazione costituiscono motivo di stress e di ansia. La scuola educava anche a conoscere le sconfitte, a far fronte a momenti di difficoltà e di delusione. La dimensione limitata del giudizio, quello delle mura di una classe, ti consentiva di ripartire, se eri caduto. Ora tutto è universale, rapido, spietato. Bisogna riconquistare una giusta dimensione del tempo, uscire dalla fretta del momento. Io credo che questa generazione smarrita cerchi ragioni per sognare e tornare a sperare. Dal buio si esce cercando la via. C’è bisogno di parole, di conflitti sani, di visioni che appassionino. Invece ci circonda il silenzio. Sembra, in questo tempo, che si possa solo aspettare Godot. Ma Godot non c’è.
Porterò sempre nel mio cuore le parole di un sacerdote santo, che ho avuto la gioia di incontrare e portare ad Ischia tante volte, Don Oreste Benzi: “Non ho paura della malvagità dei cattivi, ma ho paura del silenzio dei buoni”. Parole che mi hanno sempre spinto a stare “sui coglioni” a tanti!
Quando più di 25 anni fa portai ad Ischia Don Luigi Ciotti e Rita Borsellino con la “carovana antimafie”, molti mi deridevano. Ischia era un’isola felice!!?? Non ero convinto. Mi preso per matto. Quando chiesi a Don Ciotti e a Rita Borsellino perché l’avessero chiamata “Carovana antimafie” e non antimafia, mi risposero: “Perché la mafia è una cultura”, è un modo di essere e pensare. C’è dappertutto. Ovunque si usi un potere per ledere e schiacciare la libertà e la dignità dell’altro. Ecco allora che ci sono tante associazioni a delinquere: di stampo camorristico, mafioso, politico, economico e spesso anche religioso!
Compito del sacerdote è quello di rimuovere gli ostacoli che si sovrappongono tra la Parola e il popolo. Senza il dominio sulla parola è impossibile percepire lo Spirito dei Tempi, attivare, come sosteniamo nell’autodifesa, la criticità: “la scuola sta tra il passato e il futuro e deve tenerli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre il ragazzo su un filo di rasoio”: da una parte deve consolidare il rispetto della legge, ma nello stesso tempo suscitare il desiderio di leggi migliori. “la mia scuola la dedico a Socrate e non al Sacro Cuore”). La fede non si compra su internet ma accade, la si esperimenta nei sentieri tortuosi della vita.
Don Lorenzo parlava de “i santi laici”: Socrate, Gandhi e Gramsci. I santi laici di oggi chi sono? Battiato? Ezio Bosso? Mengoni? Se insegniamo ai giovani che esiste anche oggi la possibilità di vedere il bello di scorgerlo di lasciarsene sedurre e stupire, forse non tutto è perduto.
LE CRITICITÀ – I giovani di oggi sono troppo protetti. Educati in un contesto sociale privo di coerenza e fermezza, si ritrovano senza modelli da perseguire e sottoposti a subire gli effetti di un pensiero unico che conduce, ormai a comportamenti omologati. Oggi si dà tutto ai ragazzi e siamo sempre noi adulti a risolvere i loro problemi, ma è proprio in questo modo che togliamo loro ogni desiderio e la volontà di sperimentare direttamente piacere, dolore, successi, delusioni, soddisfazioni e frustrazioni.
Chiusi in quella che loro stessi definiscono essere l’arma del silenzio, sono incapaci di vedere i propri limiti e di individuare gli indicatori utili al percorso da intraprendere nella vita. Si sentono incompresi e inascoltati, ma allo stesso tempo non hanno imparato, all’occorrenza, a dire “ no”. Educati ad evitare qualsiasi forma di conflitto si arrendono di fronte alle difficoltà. Infatti i loro desideri non si trasformano più in attesa, ma si trasformano in un semplice vuoto da riempire. Un vuoto che genera soltanto paura e evita qualsiasi forma di riflessione. Sono queste motivazioni a spingerci a riconsiderare il valore della discussione, del confronto e se necessario anche dello scontro dialettico, per combattere questo permissivismo che sta generando soltanto passività e disinteresse.
Purtroppo la scuola subisce le conseguenze di tale permissivismo educativo, senza riuscire sempre ad offrire una valida alternativa. È questo il criterio con il quale giungiamo a considerare i nostri ragazzi, come fossero dei contenitori da riempire e dimentichiamo che il sapere deve essere costruito attivamente attraverso lo studio partecipato e consapevole. Portare i bambini, i ragazzi a riflettere, a desiderare qualcosa è faticoso, ma necessario per formare la persona del domani, capace, forse, di sapersela cavare, anche nelle problematiche future, che si presentano sempre più difficili, complesse e che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza umana.
“La scuola deve poter essere la cassa di risonanza della realtà, e viceversa: l’esperienza vissuta a scuola risuona a casa e nel loro contesto di vita?” Dice dL
Direi a questo punto che non è solo la scuola ma ogni tipo di realtà che i giovani incontrano oltre le mura domestiche, la scuola, il catechismo per chi lo fa, le società sportive, i momenti di aggregazione. Siamo tutti chiamati e coinvolti a far parte del cambiamento ed a mantenere quel filo rosso conduttore in aderenza tra realtà e concetto, tra ciò che si studia ed il contesto in cui si vive che non trova applicazione semplicemente perché nessuno mostra loro la bellezza della sperimentazione.
IL SILENZIO IN CASA NELLE CAMERETTE DALLA PORTA CHIUSA, LA PORTA CHE DICE COSA C’E’ DALL’ALTRA PARTE, I VOLTI SPENTI E DISINCANTATI, GLI ESAMI O LE INTERROGAZIONI, L’ASSENZA DI DIALOGO COSTRUTTIVO E LA MANCANZA DI ADERENZA TRA CIO’ CHE SI STUDIA E IL CONTESTO. PER ESEMPIO L’IMPORTANZA DELLA ETIMOLOGIA DI UNA PAROLA, GRECO, LATINO, LA RADICE E TUTTO IL CONTENUTO TRASFERITO AI GIORNI DI OGGI, NEL QUOTIDIANO.
Questo cammino allontana dall’omologazione che richiede a tutti la stessa cosa e, al contrario, valorizza l’apporto di ognuno in una concertazione delle diverse competenze, per esercitare al massimo le capacità di ognuno, non rendendolo attore di un sistema, ma cittadino sovrano, consapevole del proprio valore attraverso l’apprendimento e il sapere la trasformazione da spettatore a attore. Il nostro esempio di scrittura collettiva, è quello della gmg 2023 dove da spettatori passivi i ragazzi sono diventati attori dando vita a un diario di bordo che è scrittura collettiva e dove tutti , Papa compreso , hanno partecipato. Ognuno di loro con un pensiero, una riflessione, uno scatto fotografico a partire dal quale poter esprimere il momento vissuto, contestualizzato in un paese che parla una diversa lingua ma che è votato all’incontro di risonanza mondiale, che è quello della gioventù con il Papa. Il filo conduttore è stato – partire da dove sono loro, da quel che sono loro –farli sentire connessi tra loro e con il mondo circostante in una continua, crescente, dilagante, interconnessione, tra loro e noi e il creato.
FINALE A EFFETTO: Siamo tutti d’accordo, che oggi abbiamo più abilità informatiche che competenze cognitive. Ebbene, concludo auspicando che da questi incontri, immaginando una moltitudine di dati che vengono inseriti in una data base virtuale e che fisicamente può corrispondere alle nostre coscienze, possa generarsi una sorta di ALGORITMO. L’algoritmo viene generalmente descritto come “procedimento di risoluzione di un problema”. Mi piacerebbe che l’algoritmo che si genera da questi incontri sia AVVERSO E CONTRARIO ALLE CORRENTI DI MARKETING, E CHE SI INSTILLI DENTRO OGNUNO DI QUESTI RAGAZZI IN MANIERA RIBELLE E TRADITRICE RISPETTO ALLE REGOLE IMPOSTE E ALLE SOVRASTRUTTURE ARTATAMENTE E FINTAMENTE SCELTE, CHE NON POSSA ESSERE UTILIZZATO E MANIPOLATO DALLA INTELLIGENZA ARTIFICIALE E CHE SIA COMPRENSIBILE DA OGNUNO DI LORO (VI RICORDATE L’ALFABETO FARFALLINO?) e solo per loro L’alfabeto farfallino è una lingua inventata, o meglio ancora una lingua ludica, una sorta di codice che è stato inventato, non si sa da chi, in modo da creare una lingua incomprensibile a chi non fa parte della ristretta cerchia che ne conosce i meccanismi.
ENTRANDO IN UNA MODALITA’ EMPATICA che lasci FUORI DALLA PORTA UN MONDO CHE HA FRANCAMENTE STUFATO E DEL QUALE I RAGAZZI SONO ESAUSTI. Un algoritmo che consenta loro di cercarsela da soli la soluzione, avendo strumenti e competenze nelle quali occorre insegnare loro a credere, a puntare. Solo così potremmo insegnare loro a disimparare la sottile arte della manipolazione e strumentalizzazione.