Il raffronto tra due mie recenti esperienze mi ha portato a una riflessione sulla profondità della cultura dei nostri bambini e ragazzi che solitamente definiamo informale, quasi a sottolinearne il grado inferiore rispetto alla Cultura con la C maiuscola.
La prima esperienza è stata la partecipazione ad un incontro in cui una giovane collega presentava un suo libro sulle differenze di genere, libro volto a dimostrare attraverso riferimenti bibliografici illustri, che le differenze di genere sono di natura culturale e non biologica. Il testo presentato, nelle sue oltre 200 pagine, ci accompagna in un viaggio dalla preistoria all’epoca delle suffragette fino al femminismo più moderno per dimostrare che l’immagine delle donne dolci che amano i bambini e degli uomini forti che non piangono mai non corrisponde ad una verità assoluta.
Due giorni dopo la presentazione del libro era in programma all’interno del mio istituto un momento di scrittura collettiva con un gruppo di bambini di V primaria insieme ad una decina di ragazzi di III media. Alcuni stimoli della maestra Elide hanno portato bambini e ragazzi a parlare della loro scuola ideale e, tra sogni e fantasticherie, un bambino ha proposto che nella scuola ideale si potessero frequentare laboratori distinti, per soli maschi o per sole femmine. La reazione dei compagni e dei ragazzi più grandi è stata immediata e ha dato origine a un’ampia discussione sulle differenze di genere.
Chi ha detto semplicemente che ai laboratori di trucco avrebbero potuto partecipare anche i maschi e a quelli di calcio anche le femmine. Chi ha aggiunto che nessun bambino che volesse iscriversi a un corso di danza dovrebbe essere deriso, così come nessuna bambina che volesse entrare in una squadra di calcio. Chi ha sottolineato l’importanza dell’educazione fin da quando si è molto piccoli, per creare una società migliore, che non faccia differenze. Chi ha sostenuto che la separazione tra attività maschili e femminili sarebbe paragonabile a quadri di due unici colori nettamente distinti, tutti bianchi o tutti neri, implicitamente affermando l’originalità di ciascuno.
Nessuno dei bambini o dei ragazzi più grandi aveva assistito alla presentazione del libro sulle differenze di genere, ma le loro argomentazioni erano altrettanto profonde e convincenti. Da sempre sono convinta delle potenzialità di tutti i nostri studenti e dell’importanza dell’offrire loro occasioni per esprimersi. Forse, in un altro momento, le argomentazioni dei bambini sulle diversità di genere avrebbero semplicemente confermato questa mia fiducia nel loro potenziale. La concomitanza delle due esperienze mi ha fatto, però, andare oltre e mi ha portato a pensare che ingiustamente definiamo informale la cultura dei nostri studenti.
La prima definizione della parola “Cultura” nel vocabolario Treccani è questa: “L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo”.
Le argomentazioni dei bambini e dei preadolescenti che ho ascoltato si discostano così tanto da questa definizione? Affermare radicalmente che la definizione rispecchia in pieno il modo di pensare ed essere dei bambini e dei preadolescenti equivarrebbe quasi a negare il valore della scuola e dello studio. Ma quanta Cultura è comunque già insita nei nostri studenti?
Cultura che non aspetta altro di trovare i canali opportuni per fuoriuscire e creare altra Cultura. E la scrittura collettiva in questo offre un valido contributo.