“Faccio i conti con i limiti della mia età. E penso a don Milani in un modo diverso”

Edoardo Martinelli, allievo di don Milani alla scuola di Barbiana

In questi ultimi anni, nei quali la vecchiaia si presenta sempre più invadente nel porre tanti limiti al mio agire quotidiano, mi accorgo di accostarmi a Lorenzo in un modo diverso. È questo, forse, il motivo per cui ho smesso di parlare solo del Maestro e ho sentito, più che il desiderio, sempre avuto, una forza che mi spingeva a parlare del nostro Priore in quanto prete.
Allora è successa una cosa che probabilmente alla mia età non è poi così strana.

“Lorenzo Milani. Uomo e prete”
Il nuovo libro di Edoardo Martinelli


Sono andato a frugare nei miei vecchi diari e ho riacceso in me la memoria. È stato come se fossi nuovamente tornato attorno ai tavoli della nostra scuola, oppure a quella finestrella dove don Bensi mi lasciava a meditare, con lo sguardo sull’altare di San Michelino in Visdomini, dopo la confessione. Sì, per me, scrivere questo libro è stato liberatorio. Non solo. Questa mia revisione personale  mi ha consentito un riavvicinamento a mio figlio Francesco, conosciuto come il Fraska di “Fuori Binario”.
Ho sentito, in poche parole, il bisogno di rivedere la mia esperienza di vita, richiamando alla memoria quei piccoli particolari, apparentemente marginali, sul momento anche invisibili, ma che nel tempo mi sono accorto essere i più importanti nella mia presa di coscienza alla Scuola di Barbiana. Non so come mai, ma nel farlo ho sempre tenuto presente il consiglio che quotidianamente il Priore ci dava nell’interpretare le tante letture fatte insieme, in particolare quella del giornale: “Estremizziamo il concetto per capirlo meglio!”.

Queste parole fungono da porta d’ingresso al dialogo socratico, costruiscono il clima più appropriato a indurre l’allievo a ricercare una verità che sfugge e si trasforma nel tempo. È inutile rincorrerla con la sola ragione, perché, ci diceva: “La verità s’incarna ed è in questo modo che ci rende liberi!”. Lo diceva parafrasando il Vangelo.
Se ci riflettiamo, in questa frase c’è la sintesi di ogni suo insegnamento svolto in classe o nel rapporto costante che teneva con la sua piccola comunità di contadini in vetta al monte Giovi.

Lorenzo, con la sua fede, trasformava la visione che avevo del mondo, spesso lontano dal mio quieto vivere, in qualcosa di percettibile e tangibile. Trasformava il mio essere individuo in soggetto partecipe dell’atto creativo. È, lì, nella mia singolarità che trovavo il raccordo tra l’umano e il divino. Capivo che lo stato raggiunto non era mai conclusivo. Se ciò fosse stato, il mio essere individuo si sarebbe appiattito nell’omologazione e nella noia esistenziale. Quella noia dal nostro Priore vissuta nell’adolescenza e resa palese nelle lettere ai compagni di scuola (Tutino e Del Buono).
In queste si avverte lo stato di ansia, la paura, la follia che lo ha indotto a quel “grande balzo” che lo porterà alla conversione. La quale non è di certo avvenuta per una semplice lettura di un messale o per il mese passato con il suo maestro di pittura, pur tuttavia momenti significativi e terapeutici per entrare in quello Stato di Grazia indispensabile per ricevere la fede come dono.
Sono stati i sensi di colpa, a causa delle compromissioni della propria famiglia con il regime fascista, a liberarlo dall’onnipotenza respirata in casa e a condurlo sulla strada di Damasco. Come San Paolo ha scritto soltanto lettere, remissivo solo nei confronti di quella Chiesa che, con le parole di don Bensi, lo ha consolato e rimesso in piedi: “L’uomo si agita e Dio lo conduce”.
Una fede incrollabile, che si è manifestata, come io ho testimoniato nell’ultimo capitolo del libro, in una intonazione e aderenza totale alla cultura del povero. Infatti, il suo unico intento è stato quello di dare la parola a chi, perdente, è stato sempre muto. Bisognava buttarsi dove Dio sempre si incarna. Lo dice nella lettera al cugino Carlo, a sostegno di chi è debole e impotente davanti ai soprusi!

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