Gestire le classi “difficili”, ecco cosa significa non soccombere ma cogliere i bisogni

Mi tornano in mente come riflessione a posteriori, nel nuovo tempo di calura che ci avvolge in direzione delle vacanze estive, i lavori svolti a gruppi durante lultima Convention Scuola 2023 organizzata da DIESSE a Bologna, dove ha trovato spazio, anche il nostro progetto Barbiana 2040. Ho proprio avuto il sentore di vivere in diretta la sinfonia che può avvolgere chi ponga mano all’opera educativa.
All’interno dell’ ultimo appuntamento annuale intitolato “Questi ragazzi! Fragili ma ostinati desideri di felicità” che ha visto la presenza di circa 320 insegnanti, provenienti dal nord, centro e sud d’Italia, ci siamo messi all’opera in appassionata sinergia per guardare in faccia i nostri ragazzi come soggetti attivi e risorse da scoprire dentro il mare magnum di malessere che aleggia all’interno delle nostre scuole.
I lavori si sono concentrati intorno alle relazioni portanti del sabato pomeriggio con Daniele Mencarelli scrittore e poeta, Gabriella Pediconi e Marco Gui e le conclusioni di Dario Nicoli della domenica mattina intrecciate ai gruppi di lavoro e alle Botteghe dell’insegnare, che hanno costituito il ricco e fitto dialogo dei docenti e presidi presenti.
La nota dominante e stupefacente è stata la descrizione della sinergia, in moltissime scuole tra studenti, docenti, consigli di classe, dirigenza, collaboratori scolastici e famiglie: auspicabile prospettiva per tutti.

Gestione di classi difficili, non soccombere
Avevo partecipato a questo gruppo di lavoro il sabato e  la domenica mattina. Prima di qualunque strategia e progetto, è stato proposto e ri-proposto l’alunno con tutti i suoi bisogni, il bambino, il ragazzo, come altro da me: Come risuona l’alunno, l’altro dentro di me?
Solo lo spazio reso all’altro è identità generativa, perché la relazione autentica è lo spazio reso all’altro. Anzi di più: osservare davvero, è lasciare spazio a chi abbiamo di fronte, senza pregiudizi.
Nel gruppo “Gestione delle classi difficili, non soccombere”, il tema di fondo è stato il valore precipuo del riconoscimento, da cui origina come ritorno, il Sè.
Per educare occorre uno spazio sgombro dentro di noi, di totale silenzio. Questo può abbracciare l’intera collegialità soprattutto nell’età della preadolescenza per sua natura “età dell’immaginazione fervida e non concessiva”, così definita da Nicoletta Sanese,  vivace e appassionata psicopedagogista riminese.
Si è dialogato a lungo, lontani da ogni forma di teorizzazione sull’acutezza dei bisogni, espressi attraverso i maggiori, a volte più devastanti, disagi.
Si è osservato tanto che occorre recuperare la dimensione dell’esplicitezza; mancano i racconti in famiglia da condividere e da ascoltare come paradigmi di conforto e di riposo, per riguadagnare la bellezza della famiglia e della scuola.
Occorre dare la parola, dare voce la “dentro” dei nostri studenti, ai loro silenzi, come mi è accaduto di sorprendere, anche grazie all’intitolazione del libro della mia classe terza, a conclusione di questo anno scolastico. Nelle situazioni più estreme, occorre anticipare, imparando ad accompagnare la rabbia che si sta prefigurando talvolta, come reazioni inconsulte, perché i nostri allievi possano esplicitare.
Non soccombere nei contesti di classi difficili, vuol dire anche mutare modalità di osservazione fino a correggere man mano lo scandalo in stupore, come intelligenza nuova del reale. La flessibilità deve divenire l’autentica qualità di un educatore, al fine di legittimare la mente dei ragazzi.
Non può esistere la paura di gestire: dare voce significa non avere in mente la propria pianificazione.


Interessante ed attraente risulta comprendere come divenire veri compagni di viaggio.
Com-pagno significa mangiare il pane insieme, ovvero essere accanto all’altro, ma non propriamente essere come lui. Infatti occorre rovesciare la dinamica in classe: se coloro che maggiormente ci infastidiscono sono quelli più in difficoltà, questi attendono  il nostro ingresso nel loro territorio.
Una classe da gestire diventa una classe all’interno della quale ritrovare e ben delimitare l’alveo del fiume, in cui setacciare le sostanze nutritive, in cui rifondare gli argini, per una nuova produttività. La sintesi suprema può essere identificata nel concludere che una vera umanità può coniugarsi intrecciandosi con  la didattica e  il dialogo.
Il valore del Progetto Barbiana  2040, è insito proprio all’interno di queste fitte trame di bisogni e di crescita ed offre sicuramente qualche tentativo di risposta a problemi molto concreti, infatti il semplice racconto di qualche scintilla ha destato molto interesse e curiosità.

Sicuramente come ha chiosato nella sua suggestiva conclusione Dario Nicoli: una buona scuola si evince dal linguaggio di chi opera al suo interno, perché le parole sono ormai definitivamente ambigue. Meglio parlare di fragilità e inquietudine, piuttosto che di ansia da medicalizzare.
Ecco perché mi ritrovo arricchita nella mia professionalità e identità a conclusione di questo anno scolastico burrascoso e tempestoso: ogni fragilità può considerarsi come una perla coperta di fango e punto di partenza per portare alla ribalta il desiderio.
La noia che denunciano i ragazzi è volere scomparire agli occhi degli altri. Possiamo riaccoglierli e riscattarli, rendendoli presenti con il nostro riconoscimento e le parole positive di chi li incontra e chi li attende.
Nicoli ha tratteggiato la figura dell’insegnante come una strana figura, esagerata che ha oltre agli altri, un compito precipuo: proteggere e difendere i ragazzi abilitandone la speranza e la fiducia nel futuro.
Mi rimbalzano quindi, proprio nel cuore e nella mente le parole icastiche di Carlo Betocchi, per rifondare la nostra responsabilità, perché noi siamo e vogliamo essere, le parole che utilizziamo:

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