“Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito, gli altri non andavano avanti” **.
Accogliere il bisogno, che non è speciale perché ciascuno ha il suo, e renderlo invece speciale e degno di considerazione, perché spesso il problema degli altri è uguale al mio; fare dello svantaggio, della fatica, della demotivazione il centro di interesse, il senso e l’intenzione dell’agire di un gruppo, è parte del concetto di inclusione.
L’azione collettiva che si esplicita nel sostegno reciproco, nell’adoperarsi per il bene altrui rimanda al principio della solidarietà, parola sempre più al margine del sentire comune, anche all’interno della comunità educante.
Rispetto a un problema sortirne tutti insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia. E in tempi di avarizia il preferito è chi sta al passo, chi non disturba, chi non intralcia lo svolgersi del “programma”, chi non ci sbatte in faccia il proprio disagio, chi per fortuna poi si trasferisce, oppure abbandona.
L’avarizia è quando come insegnante faccio scuola per me stesso e non per i ragazzi; allora detto il passo, guardo avanti e mai a chi resta indietro.
L’avarizia è quando come studente vado a scuola per farmi strada e non ho tempo di fermarmi a prestare soccorso; tiro dritto quando qualcuno vicino a me inciampa.
E invece i ragazzi di Barbiana ci raccontano di una dimensione collaborativa dove l’aiuto reciproco non rallenta il passo, non mortifica ma anzi arricchisce, perché chi è più avanti, nell’aiutare l’altro viene messo in cattedra, diventa maestro e insegnando impara tante cose.
Con coerenza la narrazione della loro esperienza passa attraverso la pratica collaborativa e democratica della scrittura collettiva, anch’essa espressione di un processo solidale dove si impara insieme e dove l’apporto di ciascuno ha valore e arricchisce l’altro, contribuendo alla costruzione di un bene comune.
Oggi, dove il principio dell’io sovrasta quello del noi, la pratica partecipativa della scrittura collettiva porta a dare dignità e spazio anche alla voce di quel preferito senza basi, lento o svogliato, che si sente e diventa parte di una comunità che accoglie e costruisce insieme pensieri e azioni.
Scrive Don Milani in una lettera a Giorgio Pecorini del 4 aprile 1967: è un modo di scrivere nuovo ed è l’unico vero e serio… il lavoro è tutto dei ragazzi, salvo la mia regia. Ecco la figura del maestro non avaro ma capace di condurre senza imporre, di guidare facendo sì che ciascuno porti la sua voce, il suo contributo, trasformando la scuola in una palestra di democrazia, fatta di processi decisionali condivisi che conducono i ragazzi alla capacità di autodeterminarsi, diventando così consapevoli costruttori del proprio futuro.
** (Tutte le citazioni in corsivo sono tratte da Lettera a una professoressa,
Scuola di Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina, ed. 2010)