Tre giorni intensi: il 21, 22 e 23 novembre, ho avuto la preziosa possibilità di partecipare al laboratorio dal titolo “Sviluppo del pensiero critico attraverso la scrittura collettiva: attualità della scuola di Barbiana nell’era della rivoluzione digitale” , sia come insegnante osservatore in classe al mattino, sia come insegnante praticante nel pomeriggio.
Le mie riflessioni sul laboratorio partono però con alcuni quesiti: “Per chi le sto scrivendo”? Semplice, le scrivo per i docenti e gli insegnanti delle scuole della Rete Barbiana 2040, docenti che sperimentano e applicano il metodo da molto più tempo di me. E allora che cosa potrei aggiungere a ciò che già tutti coloro che applicano il metodo milaniano ben conoscono?
Faccio, quindi, finta di rivolgermi a un pubblico neofita.
Partiamo dal perché ho sentito la necessità di provare qualcosa di diverso, qualcosa che va oltre l’obbligo morale di formazione. Non si tratta di un corso dove impari ad utilizzare una metodologia, bensì lo vorrei definire un metodo di “apprendimento reciproco dinamico in itinere”.
Poche regole, ben esplicitate, come la disposizione circolare dei banchi, l’uso del taccuino e dei fogliolini e poi, per il resto, ogni insegnante è libero di guidare i propri studenti come meglio crede. Ma questa libertà non è sinonimo di facilità, tutt’altro, implica una grande abilità di conduzione e al contempo un’elevata capacità di ricezione. Ogni singola parola è preziosa, infatti, può diventare il centro di profonde discussioni. Ed è proprio questo che ho vissuto e toccato con mano durante le giornate di osservazione nella mia classe della collega Elena Bagini.
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Regina indiscussa di un piccolo pubblico, solo tredici alunni, che pendevano letteralmente dalle sue labbra, tanto da chiederle pure l’autografo prima che se ne andasse. Quello che voglio dire è che il metodo milaniano è un sistema in cui devi entrarci dentro, devi sentirlo come una parte di te, qualcosa che ti calza addosso e non come qualcosa che dici: “Oggi, faccio questo!”. E’ una forma mentis, oserei quasi dire uno stile di vita, una strada che i bambini di oggi più che mai hanno bisogno di seguire.
Sembra assurdo che tra infiniti mezzi di comunicazione, ci troviamo di fronte a ragazzi che non sanno comunicare, che lo fanno in maniera poco efficace oppure che hanno addirittura paura di farlo. Va bene allora mi si potrebbe chiedere ma come si fa ad applicare questo metodo?
Si fa, si può fare, se si vuole, come in tutte le cose con l’esercizio, con la pratica e soprattutto con il desiderio e tanta passione. Ho avuto anch’io un po’ di sconforto quando ho visto Elena in azione e mi sono chiesta: “Come fa ad essere così coinvolgente?”.
Il terzo giorno mi sono risposta da sola. Bisogna praticare il metodo e credere fermamente di poter essere un buon conduttore, un trainer che non sa tutto, ma che desidera imparare tanto quanto i suoi alunni. In fondo cosa c’è di più bello di vedere tante mani alzate, tanti pensieri che volano e tanta voglia di lavorare insieme?
Durante il laboratorio l’aria è intrisa di rispetto, di condivisione e il testo prodotto rappresenta qualcosa di unico, anche nelle sue imperfezioni, che sono lo specchio di un insieme di identità che corre e concorre ad un fine comune.In una società che porta all’individualismo, alla competizione, è fondamentale avere l’opportunità di andare controcorrente. Proprio come ha fatto Don Milani, che ha voluto dar voce agli ultimi, così noi oggi dovremmo perpetuare la sua vocazione, per ridare “ la parola” a tutti i bambini e i ragazzi che l’hanno perduta. E’ nostro diritto-dovere vivere la scuola nella scuola, dando spazio alle parole, talvolta anche alle grida e far rinascere il sano desiderio di farsi sentire, di essere uno tra tanti, ma non uno dei tanti, non solo un numero!
Forse le mie osservazioni potranno apparire un po’ troppo sentimentali, ma in fondo non sono proprio le emozioni a guidarci nella vita?