Quando la speranza diventa strumento per formare nuovi cittadini del domani

«Un buon insegnante è un uomo o una donna di speranza». Così Papa Francesco si è rivolto, sabato 4 Gennaio 2025, all’Unione Cattolica Insegnanti, Dirigenti, Educatori, Formatori (UCIIM), all’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC) e all’Associazione Genitori Scuole Cattoliche (AGESC) riuniti a Roma presso l’Aula Paolo VI (qui il discorso integrale del Pontefice).
Ripropongo di seguito alcuni punti, a mio avviso significativi, intrecciandoli con la recente pubblicazione Insegnare è/a vivere, nella speranza di generare energia e coraggio per il nostro impegno nel mondo dell’educazione all’inizio di questo nuovo anno solare. Eraclito profetizza anche a noi oggi che«senza la speranza è impossibile trovare l’insperato»: ogni educatore è chiamato così a cogliere quella speranza che abita il profondo universo di ciascun essere umano, piccolo o grande che sia.

1 – «Pensate al presente della scuola, che è il futuro della società»
Ci invita ad aprire lo sguardo qualitativamente alto camminando tra i sentieri del tempo presente, per permettere al bambino di costruirsi nell’oggi come il “cittadino di domani” poiché «dalla qualità del sistema educativo dipende strettamente il futuro della nostra società» (S. Mattarella, Discorso d’inaugurazione dell’anno scolastico 2024-2025, Cagliari). Pensare al presente della scuola non significa ridursi a trovare cure palliative alle problematiche che magari quotidianamente incontriamo bensì significa accogliere quest’ultime come occasione per aderire pienamente al contesto di realtà nel quale viviamo: ricordiamoci che la speranza conduce più lontano della paura poiché «la paura può farti prigioniero mentre la speranza può renderti libero» (tratto dal film Le ali della libertà).  Sebbene la scuola spesso parli del passato e per gli studenti sia un lungo presente, la vera dimensione della scuola è il futuro, perché il suo fine è formare le future generazioni: «Il presente che corre verso il passato e si apre al futuro, resta dunque la categoria più persuasiva da cui partire» (E. Bagini – R. Di Gaetano – R. Fumagalli, Insegnare è/a vivere, p.24). La scuola ci insegna a conoscere e com-prendere la realtà per cogliere le ricchezze che custodisce nel suo profondo: «l’esperienza del laboratorio di scrittura collettiva abbatte i muri, fa crollare le barriere, crea circolarità» (Insegnare è/a vivere, p.5) in una dialettica tra passato, presente e futuro in cui l’unica protagonista è la “parola”, colei che attraversa le generazioni e, bussando e calandosi in ciascun uomo e donne, li rende a loro volta protagonisti perché essa sa bene di non poter perdere nulla bensì di arricchirsi e arricchire chi la vive. Pensare al presente la scuola vuol dire prendere del tempo come dono, viverlo per poi ri-donarlo all’umanità come tempo vissuto, amato e proprio per questo generativo: «la scuola è diversa dall’aula del tribunale… siede tra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi» (L. Milani, Lettera ai giudici, 1965).

2 – «E qual è il suo “metodo educativo”?»
Nel presente della scuola, tanti sono i metodi e gli approcci che si stanno sperimentando, ognuno con la propria peculiarità e i punti di forza/debolezza, ma ciò che muove ciascuno di essi «è quello della prossimità, la vicinanza». I nostri piccoli hanno bisogno e costantemente ricercano persone che umilmente si accostano a loro, insieme possano camminare per scorgere «le cose belle che vedranno domani» (L. Milani, Lettera ai giudici, 1965) e nella condivisione rispettosa «costruire un nuovo umanesimo» (Insegnare è/a vivere, p.11). «Questa pedagogia è un invito a riconoscere la dignità di ogni persona, a cominciare da chi è scartato e ai margini, come duemila anni fa erano trattati i pastori, e ad apprezzare il valore di ogni fase della vita, compresa l’infanzia» (Francesco, Discorso cit.). L’umile tecnica della scrittura collettiva si può collocare in quest’orizzonte perché attraverso la silenziosa forza della parola «genera processi cognitivi significativi, scalza le dinamiche dell’insegnamento tradizionale, favorisce la motivazione, genera apprendimenti autentici e radicati, genera identità sia individuale sia collettiva» (Insegnare è/a vivere, p. 14).

3 – «Sentitevi chiamati a elaborare e trasmettere una nuova cultura, fondata sull’incontro tra le generazioni, sull’inclusione, sul discernimento del vero, del buono e del bello; una cultura della responsabilità, personale e collettiva».
Delineato il contesto temporale e approcciato il metodo, si tratta ora di sedersi attorno al tavolo per gustare la bellezza dell’incontro che parte anzitutto dal fatto che i nostri alunni sono invitati loro stessi ad «apparecchiare la tavola» (Insegnare è/a vivere, p.24): lasciamoci meravigliare ancora dalla loro creatività! I dieci punti del Manifesto di Barbiana 2024 sono le indicazioni chiare di come apparecchiare insieme la tavola, evitando una cristallizzazione della cultura, per renderla accogliente per il singolo e per tutti coloro che decidono di prenderne parte: il pane spezzato genera «briciole di parole e frammenti di pensiero» capace di «restituire a ciascuno una dignità, un senso e un ruolo nel discorso collettivo» (Insegnare è/a vivere, p. 30).

4 – «Un buon insegnante è un uomo o una donna di speranza»
Sono insegnanti che vedono nell’esperienza l’occasione per «superare i pericoli, aprire porte e attraversare soglie» (Insegnare è/a vivere, p.39).
In questo orizzonte, «il Giubileo ha molto da dire al mondo dell’educazione e della scuola […], “pellegrini di speranza” sono tutte le persone che cercano un senso per la propria vita e anche coloro che aiutano i più piccoli a camminare su questa strada» (Francesco, Discorso cit.). Una sorgente di vita dunque che sgorga dall’incontro in cui «ci rendiamo conto che oggi più che mai questo viaggio non è spontaneo ma va accompagnato» (Insegnare è/a vivere, p.37) e nella relazione vitale si genera un tempo di ascolto e di dialogo  in cui «l’Io si apre al NOI» (Insegnare è/a vivere, p. 45).

Quattro semplici spunti e incoraggiamenti che ci invitano ad non arrenderci, a non avere paura delle difficoltà che incontriamo perché, come ci ricorda Seneca, «anche se il timore avrà sempre più argomenti -siamo chiamati- a scegliere la speranza». Essa non è un’illusione che ci aiuta e conforta nel vivere il presente ma è la «capacità di vedere la luce nonostante le tenebre» (D. Tutu) per avere il coraggio di cambiare e lasciarci plasmare anche dallo sguardo semplice e puro di un bambino che ci sussurra: «la speranza vede l’invisibile, tocca l’intangibile e raggiunge l’impossibile» (A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe).

Torna in alto