
Ognuno fa fuoco con la legna che ha. “Oggi abbiamo riflettuto sul motivo per cui è difficile spesso, partecipare al laboratorio di scrittura collettiva. Il motivo è semplice: noi non pensiamo o meglio proviamo a pensare, ma il nostro corpo è vuoto. La lettera S. come lettera prefisso alla parola pensare, dice che noi “pensiamo”, solo perché chiediamo tutto alla tecnologia senza sforzarci di pensare per trovare una risposta. Pensare è un neologismo una parola inventata da noi, da uno di noi, perché ha riflettuto intorno alla S che solitamente fa diventare negative le parole che conosciamo, ad esempio conosciuto per chi si conosce e sconosciuto per indicare il contrario.” Alla domanda cosa volesse dire propriamente pensare, i ragazzi di prima media unanimi, hanno risposto che significa spaziare al minimo delle proprie possibilità, perché si e’in possesso della tecnologia così intuitiva che con un clic subito offre, quanto si vuole sapere. Una ragazzina entusiasta ha dichiarato di lasciarsi ingannare e perdere molto tempo a mettersi alla prova con i nuovi giochi online dedicati ai bambini intelligenti e in gamba, ammettendo candidamente che misurarsi è la cosa che le viene più immediata, per lasciarla poi con l’amaro in bocca.
Cosa vuol dire pensare?
Prendere contatto con la realtà, abitarla, fruire di relazioni reali, poiché unanimemente i ragazzi hanno affermato di avere bisogno di parlare con le persone. L’assenza della realtà genera quindi l’assenza di esperienza. “Diventa difficile gestire il tempo, trascorrerlo in modo pieno, e quando scatta la noia per l’incapacità di saper trascorrere il tempo libero, ci si abbandona alla disperazione, come ci accade nei lunghi weekend in cui si è soli o nei giorni in cui si sta poco bene”. Abbiamo parlato a lungo della disperazione, come sentimento che annulla la speranza e la positività: anche qui il prefisso “di” si appresta a dichiarare il contrario della parola speranza e del suo contenuto di vita. Secondo i ragazzi, si può ovviare alla speranza pensando alla moda, ma stare al passo con essa, rappresenta un’aggiunta esteriore che non cambia il contenuto delle proprie emozioni più diffuse quali la tristezza, la rabbia, il disgusto. Il passaggio più bello ha riguardato il fatto che saper essere voglia dire anche saper fare, cioè manipolare creativamente le cose per renderle a noi utili e funzionali. E’ seguito il racconto dettagliato della costruzione di una scatola per farmaci e per contenere i propri oggetti in disordine nella propria stanza, l’idea di poter collezionare i propri oggetti preferiti con i propri compagni, come si faceva un tempo con le figurine.
Solo a questo punto e’ parso lampante registrare nel gruppo classe una nuova consapevolezza raggiunta: l’assenza di pensiero corrisponde all’ assenza di capacità di costruire, creare, modellare, utilizzare le cose. Infine, il discorso si è evoluto verso i significati di tre parole: necessario, superfluo, indispensabile e davvero statisticamente si può concludere che per questi ragazzi di prima media è indispensabile la famiglia, insieme alla parola e al pensiero, perché la felicità abiti lo stare insieme.
Anche questa volta, abbiamo sfiorato le ali della sapienza, che combatte la farfalla prigioniera.
Quid animo satis?