Riattrezzarci come docenti
per attrezzare i nostri studenti

È nata quasi per caso nel nostro IC di Grumello del Monte l’idea di entrare nella rete Barbiana 2040, una rete che non è una ragnatela pronta a tarpare le ali o ad imporre modelli, ma un trampolino per far volare studenti e docenti.
La nostra dirigente, Nicoletta Bassi, ha conosciuto Rita Fumagalli, dirigente a Sorisole, durante un incontro formativo e ha cominciato a parlarmi di lei e del progetto Barbiana 2040, proprio in un periodo (nulla avviene per caso) in cui stavo divorando libri di e su don Milani. Così, navigando sul sito dell’IC di Sorisole, ho trovato il nome, o meglio il viso, perché non ricordavo il nome, di Rosaria Di Gaetano, conosciuta nel 2017 in una formazione di pionieri referenti per il bullismo nelle scuole. Mi sono messa in contatto con lei, scoprendola un vulcano di idee, scoprendo di condividere una visione della scuola che mette al centro gli alunni e che, pur nel rigore, ha l’obiettivo di far stare bene bambini e ragazzi, e scoprendo che le fatiche quotidiane si possono superare con l’entusiasmo e con la voglia di mettersi in gioco.

Abbiamo così costruito insieme un percorso di formazione per la scuola di Grumello, che nel frattempo si stava interrogando sul “Perché essere docenti oggi” attraverso un percorso formativo un po’ alternativo guidato da due educatori di strada piemontesi e un operatore teatrale. Dopo essere stati a Sorisole come osservatori nella scuola primaria e secondaria, abbiamo scelto due classi pilota nel nostro IC: la 3C primaria di Grumello ha lavorato con Elena Bagini e la 2C secondaria di Grumello ha lavorato con Rosaria di Gaetano. Io e la maestra Elvina, direttamente coinvolte nel progetto, ma anche tutti i colleghi che sono stati ospiti osservatori, ci siamo caricati molto, stupiti e meravigliati di quello che può ancora accadere in una classe.
Fare scrittura collettiva significa ascoltare gli alunni, dar loro voce, farli sentire a loro agio, concedere l’opportunità di confrontarsi e collaborare, ma significa anche riattrezzarci noi come docenti, dando spazio alla nostra creatività, alle nostre competenze relazionali e prosociali, significa ritrovare energia e voglia di fare in una scuola che ci mette di fronte ogni giorno burocrazia e difficoltà varie, significa andare incontro alle nuove modalità di apprendimento e alle nuove richieste dei giovani, significa capire che insegnare come si faceva trenta, venti, dieci anni fa non funziona più.


Don Milani dice con forza questo: “Fate scuola, fate scuola, ma non come me. Fatela come vi suggerirà l’epoca in cui vivrete. Essere fedele a un morto è la peggiore infedeltà”. Don Milani ci invita a seguire il nostro tempo, a metterci nel nostro tempo e nelle nostre circostanze. Ed è proprio da lui che si parte, dalla sua attenzione ai ragazzi, persone prima che alunni, dal suo I CARE.
Ho presentato don Milani in 2C, con il timore che non suscitasse interesse: al contrario, ha incontrato subito l’approvazione degli alunni, colpiti dal fatto che avesse a cuore proprio il benessere degli studenti e che a scuola i suoi alunni dovessero andare felici e contenti, non con il desiderio di sentire l’ultima campanella. Li ha sorpresi il fatto che le sue lezioni partissero dagli interessi dei ragazzi, da ciò che stava loro a cuore, dalle loro curiosità, da ciò che li aiutava a vivere … Li ha stupiti il fatto che questo sacerdote maestro si fermasse sulle PAROLE, perché ogni parola nasconde un mistero. Dice don Milani: “Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci, venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi. La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua”.

Quando poi abbiamo cominciato il laboratorio, i ragazzi si sono subito affezionati a Rosaria, prontissima ad ascoltarli e a valorizzare qualsiasi loro PAROLA, qualsiasi loro intervento. Non succede spesso che in classe si dia peso a tutto: non c’è tempo, non c’è sufficiente attenzione, non c’è spazio per chi sbaglia o dice qualcosa di non proprio pertinente. I ragazzi volevano parlare di tante cose, del loro mondo, dei loro sogni. Nonostante la fatica, normale alla loro età, hanno colto l’importanza di esprimersi e di farsi capire, di parlare senza timore di giudizio, di costruire pensieri insieme, di confrontarsi … e poi anche di scrivere, di correggersi a vicenda, di realizzare qualcosa di loro, di fare sintesi sui fogliolini e di arrivare a un ordine comune.


Si è partiti dal tema dell’IMMAGINE e dell’IDENTITA’, che, dopo un percorso labirintico tra UNICITA’ e OMOLOGAZIONE, COMUNICAZIONE e NARRAZIONE e un’interessante riflessione sul rapporto tra fotografia, immagine allo specchio e selfie, ha portato alla stupenda similitudine finale di un alunno: noi uomini siamo come casseforti, che fuori abbiamo un muro per proteggerci e dentro nascondiamo tesori, gioielli, misteri; solo aprendola è possibile vederli; possiamo aprirla noi o possono aprirla gli altri. Un meraviglioso ATTESO IMPREVISTO, un dono prezioso che consente di trovare nell’ordinarietà di una giornata in classe il senso di un incontro più autentico e di rinnovare le proprie forme di attenzione e di attesa.

Purtroppo, nonostante gli sforzi per cambiare e aggiornarsi, noi docenti siamo ancora guidati dalla logica del controllo e del giudizio, che caratterizza e invade le nostre modalità didattiche e a volte relazionali, ostacolando la motivazione profonda degli alunni. Controllo e giudizio si esprimono con modalità di valutazione basate su prove più o meno oggettive, verifiche e interrogazioni, con un’idea di selezione che corrisponde spesso alla denuncia fatta a suo tempo dalla scuola di Barbiana.
Personalmente, come docente, ho riscoperto il valore della LENTEZZA, che è pazienza, calma, attesa, fiducia: nelle corse della vita quotidiana e anche nella fretta dell’ora che trascorre inesorabile, fare scrittura collettiva significa frenare, allentare, gustare, apprezzare ogni parola, ogni dettaglio, ogni imprevisto del percorso. I nostri alunni, che appartengono a una generazione nata nella fretta, nella corsa, nel multitasking a volte inevitabile, nati con cellulari e videogiochi in mano, che a volte incentivano la frenesia e l’immediatezza, hanno tanto bisogno di riscoprire o forse scoprire quanto valga la lentezza, che porta seco riflessione.

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