Siamo immersi nella frenesia. Abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore

Questo è l’invito che Papa Francesco ha rivolta all’intera umanità attraverso le parole della sua quarta enciclica Dilexit nos. Significativo che nello scorrere dei 220 paragrafi ritorna per ben 442 volte la parola «cuore»: probabilmente non troviamo alcun testo oggi, ad eccezione della Bibbia, che ci richiami così tante volte questa realtà costitutiva del nostro essere. Da qui ho preso spunto per poter rileggere e riflettere sull’esperienza che ogni insegnante vive all’interno del contesto sociale odierno: spesso mi capita di incontrare colleghi o colleghe e con loro intrattenermi nel racconto di piccoli aneddoti quotidiani di vita scolastica. Tante sono le soddisfazioni e le gioie, anche se sovente fatichiamo a farle emergere, ma altrettante sono le delusioni che si concretizzano in critiche lanciate verso chi con impegno e dedizione si prodiga per il successo formativo e umano dei propri alunni.
Noto con grande meraviglia e stupore che nel dialogo, tutto misteriosamente sembra riportare proprio lì, precisamente al cuore.
«Come fanno a non capire?», «Lo faccio con il cuore, per il loro bene», «Voglio togliere gli ostacoli e invece appaio come quello che è pronto a tendere una trappola», «Ma ne vale proprio al pena spendere così tante energie?». Sono solo alcune delle esclamazioni che come ritornelli si ripetono: ebbene, potremmo dire con un briciolo di orgoglio, che ne vale proprio la pena  perché i gesti che partono dal cuore trovano sempre la strada giusta per giungere al cuore che li attende. Si tratta di pazientare, di testimoniare i benefici della pazienza e della serenità… in fondo un seme per crescere ha bisogno del suo tempo, del tempo che gli appartiene.

Come oggi recuperare i gesti del cuore in mezzo a vortici egoistici di mero protagonismo? È una domanda significativa alla quale non è facile rispondere perché siamo consapevoli che la società ci spinge in tutt’altra direzione, ma sicuramente è l’unica capace di riportare concordia e serenità tra le nostre case. Il tempo natalizio che illumina e riscalda le giornate dell’ultimo mese dell’anno, ci invita a far riemergere gesti dal cuore: questo ci ricorda anzitutto che chiunque, piccoli e grandi, siamo capaci di compiere ciò e quindi lungi dall’essere impossibile, nonostante ci troviamo a costatare che spesso tutto si smorza con lo spegnimento delle luci decorative.

Dunque: un cuore a spot? Un cuore a intermittenza? Un cuore che attira con flash momentanei? Se tutto si ferma lì, se si vede il tutto come il raggiungimento di un traguardo “finalmente è arrivato Natale”, evidentemente e inevitabilmente è così: occorre uno sguardo diverso che orienta quella forza naturale che sgorga dal cuore di ciascun uomo e donna di buona volontà verso una metà più grande: il Natale non è un punto di arrivo bensì di partenza. «L’uomo guarda l’apparenza» (1Sam 16,7), che all’improvviso svanisce da sé come una scia di fumo, mentre è necessario avere uno sguardo più attento e mirato, sul modello di Colui che dice «imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29) perché «il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7).

«Cosa dire delle guerre, delle violenze, dei disastri ecologici? E che pensare dei problemi che anche voi, cari giovani, dovete affrontare, guardando al domani: la precarietà del lavoro, l’incertezza economica e non solo, le divisioni e le disparità che polarizzano la società? Perché succede tutto questo? E cosa possiamo fare per non esserne schiacciati? È vero, si tratta di domande difficili, ma sono domande importanti». Così Papa Francesco si è rivolto ai giovani presenti nella Basilica di san Pietro riuniti a Roma in occasione della XXXIX Giornata mondiale della gioventù, celebrata a livello diocesano. E in tutto ciò, il cuore sembra essere migrato altrove: come parlare di cuore se quotidianamente si registrano guerre, violenze, disastri ecologici, precarietà lavorativa, incertezza economica? D’altronde «gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (Gaudium et Spes, 10 e 14). Non bisogna arrendersi alle ideologie mondane per le quali «gli eventi del mondo sono “sfuggiti” dalle mani di Dio» in quanto «non è vero che la storia la fanno i violenti, i prepotenti, gli orgogliosi»,poiché«molti mali che ci affliggono sono opera dell’uomo, inganno dal Maligno» (Francesco, Omelia già citata).

Si tratta di avere coraggio nel riportare “al cuore” questi dilemmi per guardarli con i suoi occhi e farle diventare occasioni, opportunità. Una mangiatoia a Betlemme non è stato un problema per impedire a Gesù di nascere ma è stata l’occasione per mostrare all’umanità intera la discesa più  determinata e umile di Dio sulla terra attraverso il proprio Figlio: “Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito” (Dilexit nos, n. 218).

Tutto l’operato di don Lorenzo Milani può essere riportato al cuore, al “suo” cuore che lo ha smosso nel compiere gesti capaci di scavare una strada che ancora oggi qualcuno desidera percorrere: la strada del cuore. Un cuore che lungo il cammino si accosta al povero, all’emarginato, a colui che si trova in difficoltà, a colui che fatica a parlare, a colui che non riesce a trovare uno spazio adeguato per vivere dignitosamente, a colui che fatica a rispettare e rispettarsi… perché in ciascuno si radica una promessa di bene e di realizzazione: accostarsi significa prendersi cura e coltivare con molta umiltà ciò che non è mio ma contribuisce alla mia realizzazione e quella dell’umanità intera. Quattro verbi possono aiutare ciascuno di noi ad accostarsi senza timore a chi incontriamo per accoglierlo come l’ospite inatteso e offrirgli una casa sicura, calda e accogliente: trascorrendo molto tempo con loro a scuola o in altri contesti di aggregazione, sono sempre più convinto che tanti nostri ragazzi e ragazze hanno bisogno semplicemente di questa testimonianza viva di un cuore che batte anche per loro.


Ascoltare: Oggi c’è troppa fretta di parlare, di far sentire cosa si pensa, di dire l’ultima parola, di rispondere ai messaggi sui social talvolta senza leggere i precedenti o le richieste nelle quali troviamo già la risposta. La frenesia del quotidiano ci dimostra che spesso lasciamo inserito il pilota automatico della routine perdendo la capacità creativa di generare la rotta da percorrere, gustando con spontaneità le brezze che ci insegnano a vivere. Provare ad «arrivare dentro il pianeta del cuore» (L. Pausini, Ascolterò il cuore) è il tentativo di ascoltare la sua voce che batte senza sosta, esattamente come «il ponte ascolta le storie del fiume» (F. Caramagna).

Aprirsi: quando l’ascolto è vero, autentico e profondo, è inscritta dentro al cuore la chiave che apre la porta a chi con gentilezza e delicatezza bussa. «Un cuore lieto fa bene al corpo» (Pro 17,22). Le vibrazioni della voce del cuore smuovono le nostre paralisi egoistiche che spesso ci permettono di operare solo come in ambienti che potremmo definire a compartimenti stagni. «Se ascolti il tuo cuore, apri le braccia quasi fino a toccare ogni mano, ogni speranza, ogni sogno che vuoi perché poi ti porterà fino al cuore di ognuno di noi» (L. Pausini, Ascolterò il cuore).

Accogliere: proprio perché il movimento del cuore ti porta fino al cuore di chi sta accanto, il passo che si genera da sé è quello di accogliere. Accogliere l’altro per quello che è, nella sua umanità e semplicità, perché un cuore si è avvicinato, ti ha ascoltato e gratuitamente si è aperto a te: «Dio vi ama così come siete, non come apparite: davanti a Lui i vostri sogni puri valgono più del successo e della fama, valgono di più, e la sincerità delle vostre intenzioni vale più dei consensi. Non lasciatevi ingannare da chi, allettandovi con promesse futili, in realtà vuole solo strumentalizzarvi, condizionarvi e usarvi per i propri interessi. State attenti alle strumentalizzazioni. State attenti a non essere condizionati. Siate liberi, ma liberi in armonia con la vostra dignità» (Francesco, Omelia già citata).

Amare: l’accoglienza per essere autentica e sincera, chiede di essere gratuita, costante e perseverante nel tempo. Solo l’amore è in grado di porre il suo sigillo perché «la dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). «Non truccatevi l’anima, non truccatevi il cuore; siate come siete: sinceri, trasparenti. Non siate “stelle per un giorno” sui social… Il cielo in cui siete chiamati a brillare… è il cielo di Dio» (Francesco, Omelia già citata).

In conclusione, con il cuore si pensa, si ascolta, si decide, si ama, si giudica, si ricorda, ci si relaziona e tanto altro. È necessario recuperare i gesti del cuore che muovono a partire dai quattro verbi che abbiamo raccolto; altrimenti, come scriveva il giovane Pier Giorgio Frassati a un suo amico, «non si vive più, ma si “vivacchia”» (cfr. Lettera a Isidoro Bonini, 27 febbraio 1925). Andiamo a rispolverare le pagine bibliche nelle quali possiamo gustare come i verbi della fede intrecciano nello scorrere degli anni il vivere quotidiano, grazie alla docilità del cuore: amare (Dt 6,5); ascoltare (cfr.1Re 3,8); ricordare (Dt 4,9); osservare (Sal 119,34); servire (Gs 22,5); cercare (Sal 27,8; 119,10); convertirsi (Gl 2,13); lodare (Sal 86,12 ); custodire fedelmente (Sal 119, 68), valutare con saggezza (cfr. Sal 90,12).
«Con ogni cura vigila sul cuore perché da esso sgorga la vita» (Pro 4,23): che sia così per ciascuno! Di cuore, buon Natale…

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