Cinque anni fa ho iniziato il mio cammino Barbiana 2040.
Ogni cammino comincia sempre con un desiderio e una curiosità, ero alla ricerca di qualcosa che tenesse accese la mia creatività e la bellezza del mio lavoro, per smettere di lamentarmi degli alunni, di confrontarli con gli alunni del passato e smettere di sperare in un cambiamento del sistema-scuola “dall’alto”. Dovevo essere io il cambiamento che cercavo: essere un’insegnante che, oltre a trasmettere il sapere e la cultura, preparasse i bambini-ragazzi alla società in cui avrebbero vissuto da adulti mobilitando in loro tutte le potenzialità del sapere (cognitiva, pratica, emotiva- sociale).
Ecco che abbracciare il progetto Barbiana 2040 è stato e lo è quotidianamente un atto di fiducia e di coraggio, il cambiamento che cercavo.
Inizialmente ho praticato il laboratorio “Lo sviluppo del pensiero critico attraverso la scrittura collettiva” con i bambini di classe quarta e poi di classe quinta, per poi ricominciare dalla classe prima fino alla terza; ho praticato il laboratorio in tutte le classi della scuola primaria.
Il processo della scrittura collettiva si origina da un dialogo socratico in cui l’insegnante agisce da regista proponendo tematiche, attività, riflessioni che devono accendere la scintilla della curiosità e far scaturire la passione verso il sapere. Anche il docente si accende e si illumina trovando in questa esperienza un’oasi autentica di bellezza e un ristoro di speranza, generatori di nuovo entusiasmo.
Il punto di forza più calamitante, a parer mio, si è palesato intorno all’idea di scuola “dell’indugio e della lentezza”, una scuola capace di tornare ad attivare il pensiero nella mente dei nostri ragazzi e, con il pensiero risvegliato in ogni soggetto, si mostrasse scuola capace di accendere quelle emozioni che si rivelano, quasi improvvisamente, fonte sicura di apprendimento.
L’entusiasmo iniziale, tuttavia, camminava anche con alcuni timori:
• Come gestire un sapere più ampio e sempre più complesso?
• Cosa fare se i colleghi non si fanno compagni di viaggio?
• Dove trovare tempo ed energie per preparare, svolgere le lezioni?
• Come riuscire a non perdersi nel ruolo di regista e portatore di strumenti?
• Quanto ero disposta a mettermi in gioco come insegnante?
Il bisogno di cambiamento ha prevalso e, dopo il primo anno, ho deciso di continuare. L’avvio è stato per piccoli passi, circoscritto a una situazione, a un’esperienza, per affrontare un bisogno contingente dentro la classe, per accendere una competenza sociale.
La sfida più grande è stata il lancio del laboratorio di scrittura collettiva in una classe prima di scuola primaria, con bambini che non possedevano la letto-scrittura.
Come insegnante di italiano ritengo la lingua uno strumento di pensiero per la formazione di cittadini attivi e responsabili, è prioritario lavorare sulla parola-pensiero per dare parola a tutti e dare spazio e tempo alla parola.
Inoltre, volevo proporre ai bimbi una esperienza di scrittura autentica svolta in una comunità di apprendimento, di ricerca, in una comunità linguistica che costruisce conoscenza attraverso le relazioni, con un approccio di tipo laboratoriale, attivo e riflessivo in una prospettiva ecologica: un ecosistema, ma soprattutto mettendo sempre al centro la mia filosofia riguardo all’apprendimento: ubuntu.
La parola ubuntu, oltre ad essere un sistema operativo nato nel 2004 e basato su Linux, è principalmente un’etica, una regola di vita dell’Africa sub-Sahariana, un’espressione in lingua bantu che significa “benevolenza verso il prossimo”, è difficile tradurre ubuntu con una sola parola, potrebbe essere umanità, è “Io sono perché noi siamo”. La potenza delle relazioni, la persona non è un individuo a sé stante, ma è parte di una comunità a cui appartiene in un’ottica di correlazione.
Un antropologo decise di proporre un gioco, una gara di velocità,
ai bimbi di una tribù africana.
Preparò un cesto contenente frutta e dolciumi, lo posizionò ai piedi di un albero e diede il via alla gara: il bambino che fosse arrivato per primo al cesto, l’avrebbe ricevuto in dono.
I bambini si disposero come era stato loro indicato e al segnale convenuto partirono, ma anziché gareggiare l’uno contro l’altro, i bambini si presero per mano e corsero tutti insieme, l’uno a fianco all’altro, l’uno con l’altro. Giunsero tutti insieme al cesto e tutti furono vincitori. Incuriosito, l’antropologo chiese ai bambini il perché del loro comportamento e la risposta fu “Ubuntu: come potrebbe essere felice uno di noi se tutti gli altri sono tristi?!“.
Ubuntu significa il cambio di paradigma, abbatte la competizione, l’individualismo, l’egocentrismo per la collaborazione e cooperazione perché siamo parte tutti dello stesso gruppo e se un singolo elemento si indebolisce, lo diventa anche tutta la comunità. La classe diventa una comunità generativa dove l’ego individuale non scompare, perché quando è assente non c’è creatività, spinta motivazionale, interesse, ma è asservito al gruppo, alla collettività perché solo quando si cerca il bene comune prevale anche il proprio.
Inoltre, l’importanza della mente collettiva ci insegna che quando si è in gruppo il numero dei componenti aumenta di uno, una proprietà emergente del gruppo, esito della cooperazione. Ogni inserimento in un gruppo diviene quindi una forma di apprendimento di per sé, si apprende per osmosi, ciò è confermato anche dalla teoria dei neuroni a specchio.
I bambini, cooperando tra loro, scoprono la bellezza di lavorare insieme per giungere alla stesura di un testo collettivo frutto della sinergia e del contributo di ciascuno, insegnanti compresi.
Importante è documentare, al termine dell’anno scolastico, l’esperienza per condividerla con altri insegnanti, con i docenti titubanti o con chi si avvicina per la prima volta all’approccio pedagogico milaniano; non è sufficiente solamente consegnare il prodotto finito, il testo in scrittura collettiva.
Negli anni ho condiviso gli “attrezzi del mestiere” scrivendo, tra le righe del testo degli alunni, la successione di azioni che ho messo in atto per implementare il laboratorio al fine di documentare il processo, non solo il prodotto.
Voglio dedicare due parole sull’importanza della documentazione generativa che documenta non solo il prodotto, ma il percorso, il processo divenendo così uno strumento fondamentale per generare informazioni, curiosità per portare al cambiamento e diventa così formazione in un’ottica di circolazione di buone pratiche.
La mia prospettiva sarà quella di continuare a produrre documentazione generativa.
Umberto Eco nel suo testo Sei passeggiate nei boschi narrativi afferma che il nostro modo di raccontare un’esperienza prende la forma di una storia e ci sono due modi per raccontarla come per passeggiare in un bosco ci sono due modi: il primo è quello di trovare la strada per raggiungere la meta, la casa della nonna… o per uscire velocemente dal bosco; il secondo è quello di percorrere strade diverse semplici, difficili per capire come sia fatto il bosco.
Il primo modo corrisponde alla modalità di documentazione del prodotto, importante è il prodotto e il percorso ha significato solo in relazione alla meta, il secondo modo corrisponde alla modalità di documentazione generativa, importante è il processo così da potersi orientare e percorrere ogni bosco.
Auguro a tutte e tutti un buon anno scolastico e un buon cammino insieme, con le caratteristiche del camminare in montagna:
• Non una performance, ma l’azione più naturale dell’uomo
• Un’apertura verso gli altri e “l’altro”
• Una forma d’arte: si condivide qualcosa di bello e unico
• Un antidoto contro i pregiudizi, in cammino si è tutti uguali
• Un’immersione totale nella bellezza fine a se stessa
• Un’espressione nascosta di solidarietà
• Una forma di inclusione invisibile
• Camminando insieme ci si sostiene, si dimentica la fatica e si è energia per il gruppo.
• Il piacere di raggiungere la vetta: “Scegliete sempre un obiettivo che sia leggermente superiore a quello che pensate sia veramente alla vostra portata” scrive Bernhard Moestl, autore di Kung-Fu.
Troppo spesso da adulti escludiamo a priori la possibilità di provare qualcosa di nuovo perché sconosciuto o perché si pensa troppo difficile per i bambini-ragazzi.
Dobbiamo imparare ad alzare l’asticella con gli alunni, osare un po’ e agire nella famosa zona di sviluppo prossimale di Vygotskij, offrire cioè la possibilità di favorire l’apprendimento anziché ostacolarlo.