“Toccare” le parole: la scrittura collettiva come mezzo per entrare nel testo

Il giorno seguente la gita in Val Camonica con le terze, anziché proporre agli alunni della classe 3B la scrittura del racconto sottoforma di cronaca dell’esperienza vissuta, ho pensato di raccogliere ciò che ai bambini era rimasto più impresso formulando un testo collettivo. Nella mia mente si presentava già una bella raccolta di ricordi e informazioni abbastanza ben definite e spendibili per costruire un testo storico-informativo intitolato “Le incisioni rupestri”, tutto sommato anche in tempi brevi. Ma non avevo fatto i conti con la rielaborazione della mente dei bambini. Infatti, accanto ai piccoli archeologi che non mancano mai (e che potrebbero, da soli, scrivere un saggio), troviamo i bambini che mettono al primo posto la comunicazione delle proprie emozioni, o quelli che riferiscono un particolare che noi adulti avremmo trascurato, ma che magari, per loro, ha rappresentato una scoperta.
Così, la produzione di un fogliolino a testa con l’indicazione “potete dire ciò che vi ha colpito di più”, ci ha portato ad avere del materiale che si sarebbe prestato inizialmente a testi con scopi e destinatari diversi.
Esempi:
I camuni disegnavano il lupo con la coda rivolta verso l’alto, il cane con la coda rivolta verso il basso.
Mi è piaciuto fare il tiro con l’arco.
Gli uomini hanno iniziato a prendere le pietre per tagliare il corpo degli animali.

Una volta trascritti i fogliolini alla LIM, come ormai d’abitudine, i bambini hanno voluto raggruppare per contenuto le frasi. Di fronte alla produzione abbastanza variegata, loro stessi hanno deciso che il testo si sarebbe intitolato “Che cosa abbiamo scoperto sui Camuni”.
Anche il secondo passaggio è diventato una consuetudine per gli alunni: scoprire gli errori ortografici. Qualcuno, come un maestro navigato, ha sottolineato la dimenticanza di punti e lettere maiuscole.
Esaurita questa parte tecnica, è iniziato il momento più avvincente: entrare nel testo. Alla classe, infatti, si sta chiarendo il concetto che tante frasi scritte una accanto all’altra, anche se trattano lo stesso argomento, non possono dirsi un testo. Li ha aiutati l’esempio degli ingredienti e della torta: si può dire a qualcuno di mangiare un po’ di torta, se sul piatto trova farina, uova, zucchero, burro e lievito? “Certo che no!”, sono per i primi i bambini ad affermare. Ma allora che cos’è che fa sì che una torta diventi tale? La risposta è immediata: tutti gli ingredienti, ancor prima di essere cotti in forno, devono essere impastati. In classe ci siamo dunque chiesti come potere “impastare delle frasi” perché diventino una torta, cioè un testo. Ci sono, allora, venute in soccorso delle parole che collegano: i connettivi testuali.

Ecco come si presentava il paragrafo iniziale senza i connettivi e poi dopo il loro inserimento (le parole in azzurro):

Noi abbiamo capito che il popolo Camuno è stato il primo popolo ad incidere in Val Camonica.
Nei camuni lo sciamano faceva le incisioni.
I Camuni incidevano tanti cervi che rappresentavano la presenza massiccia nella valle.
I camuni disegnavano il cane con la coda rivolta verso l’alto, il lupo con la coda rivolta verso il basso.
Un’ incisione rappresentava delle donne che pregavano per una donna sdraiata, forse perché era morta o doveva partorire un bambino. Se la donna era morta veniva bruciata e la cenere veniva raccolta con delle palette e buttata in un canale. Infatti Camuni credevano che i morti vivevano in una nuova vita: la vita nel regno dei morti (l’Aldilà).
I guerrieri venivano incisi più grandi perché proteggevano il villaggio.
Noi abbiamo capito che il popolo Camuno è stato il primo popolo ad incidere in Val Camonica.
Nei camuni lo sciamano faceva le incisioni.
All’inizio i Camuni incidevano tanti cervi che rappresentavano la presenza massiccia nella valle.
I camuni disegnavano anche il lupo con la coda rivolta verso l’alto, il cane con la coda rivolta verso il basso.
Un’altra incisione rappresentava delle donne che pregavano per una donna sdraiata, forse perché era morta o doveva partorire un bambino. Se la donna era morta veniva bruciata e la cenere veniva raccolta con delle palette e buttata in un canale. Infatti, i Camuni credevano che i morti vivevano in una nuova vita: la vita nel regno dei morti (l’Aldilà).
Inoltre, i guerrieri venivano incisi più grandi perché proteggevano il villaggio.


Un’altra riflessione molto interessante è stata quella sulla ricerca delle parole più adatte, che rispettino il pensiero dell’autore o autrice ma che nello stesso tempo permettano di trasmettere al meglio il messaggio. La classe ha dibattuto a lungo sul termine “massiccia”, che un bambino ricordava da una lettura e che ha fatto proprio e utilizzato nel fogliolino. Ad alcuni compagni che non ricordavano questa parola, essa suonava insolita e persino impropria per il contesto in cui era inserita. Si è ragionato, dunque, su come poterla sostituire e le proposte emerse sono state “vasta”, “larga”, “molta”. Dopo esserci avvalsi della consultazione del vocabolario, la classe ha votato per mantenere “massiccia”, che oltre a convincere tutti sull’appropriatezza è sembrata anche decisamente elegante.

Molto interessante è stata anche la riflessione, con un seguente dibattito piuttosto acceso, sull’affermazione “i Camuni credevano che i morti vivevano in una nuova vita: la vita nel regno dei morti (l’Aldilà)”. I bambini, infatti, discutendo sulla scelta delle espressioni “vivevano una nuova vita” o “rivivevano in una nuova vita”, si sono posti delle domande che, da quella linguistica, li hanno condotti a ragionare in una dimensione tra il metafisico e il teologico. Votata l’opzione per loro più adatta, li ho portati a notare due elementi che l’autore del fogliolino aveva saputo inserire ma che, essedo già corretti e sapientemente utilizzati, erano passati inosservati: il connettivo “Infatti” e i due punti nel periodo “Infatti Camuni credevano che i morti vivevano in una nuova vita: la vita nel regno dei morti (l’Aldilà)”.
A tal proposito vorrei sottolineare che durante questo anno scolastico non ho mai affrontato l’argomento “punteggiatura” in modo formale, con una spiegazione frontale e degli esercizi specifici. Ho, invece, fatto osservare e ascoltare la punteggiatura, quella presente e quella assente, nei fogliolini trascritti alla LIM e sono convinta che siano stati quei momenti ad avere lasciato nei bambini la traccia di ciò che la punteggiatura è e fa.

Un altro passaggio importante è stata la presa di coscienza che le informazioni del secondo raggruppamento non solo sarebbero state collegate in modo forzato alle prime, ma erano dissonanti anche tra loro.

I Camuni facevano delle ciotoline di rame. Un’altra attività artigianale era di costruire archi con i tendini di animale e legno di nocciolo perché era flessibile.
Inoltre fabbricavano le punte delle frecce in metallo.
Gli uomini hanno iniziato a prendere le pietre per tagliare il corpo degli animali.
La cosa che ci ha colpito di più è il labirinto perché fa perdere l’orientamento.
La maggior parte delle volte erano le donne a pregare, gli uomini invece facevano altri tipi di lavori come la caccia.
i Camuni facevano il tiro con l’arco e le frecce.
I camuni andavano a caccia con l’arco.

Sono emerse, così, due proposte. La prima prevedeva la formulazione di una “frase ponte” per collegare i nuovi argomenti, la seconda la definizione di veri e propri capitoli, come si fa nei libri. Dopo la votazione, ha vinto la seconda idea. A questo punto, due bambine si sono rese conto che il materiale alla LIM era povero e si sono date il compito di cercare altre notizie da esporre ai compagni. È la prima volta che in classe viene fatta una richiesta di questo tipo, che ho accolto con entusiasmo raccontando che alla scuola di Barbiana si lavorava così. Il lavoro non è ancora concluso e, proprio per questa scelta impegnativa ma libera, abbiamo deciso che potrebbe terminare anche nel prossimo anno scolastico.
In conclusione, l’esperienza della costruzione del testo collettivo ha rappresentato per me una scommessa sulla classe fatta e vinta. Una scommessa perché ha comportato un investimento di tempo ed energie notevoli. Come in ogni scelta, di lavoro e di vita, decidendo di incamminarsi lungo una strada non se ne può percorrere un’altra, ma i traguardi di questa pratica didattica ripagano ogni cosa.

Posso affermare con convinzione che la scrittura collettiva sia uno strumento potentissimo, forse l’unico, per fare compiere ai bambini un’esperienza immersiva, quasi sensoriale, del testo. Non è infatti semplice portare i bambini dentro alle frasi, fare manipolare loro le parole e percepirne il peso. Il coinvolgimento emotivo e razionale allo stesso tempo, prodotto dall’apparire dei fogliolini alla LIM, fa sentire i bambini protagonisti di un lavoro attivo e consapevole che mette tutti in primo piano mentre crea un prodotto che è dell’intero gruppo. Nello snodarsi di questa imprevedibile lezione viva di ortografia, grammatica e sintassi, vengono nello stesso tempo promossi l’argomentazione delle proprie idee, il dialogo rispettoso dell’altro, l’accoglienza del contributo di tutti e il lavoro di squadra: un vero e proprio esercizio di democrazia.

Infine, è necessario essere consapevoli che oggi è un’illusione credere che la scuola possa consegnare ai propri studenti tutto lo scibile. Ci siamo ormai avviati verso un mondo dove, parafrasando le parole di Umberto Eco, colto non è più colui che sa, ma colui che sa cercare ciò che gli serve nel momento in cui gli serve, che si orienta nel sapere e che fa un uso consapevole dei mezzi che ormai sono a disposizione di tutti. La scrittura collettiva, in tal senso, offre un metodo di ricerca e analisi delle informazioni riproducibile in diversi contesti, scelta vincente per una scuola che deve essere soprattutto una scuola di metodo, se vuole diventare una bussola per la vita di bambini e ragazzi.

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