Una grande lezione di scrittura collettiva dell’umanità

Persino il cielo, con un azzurro sempre più raro in televisione poiché ci stiamo purtroppo abituando a vederlo velato dai polveroni dell’esplosione dei numerosi conflitti oppure bagnato dalle bombe d’acqua che trascinano metri cubi di terra, ha voluto affacciarsi sulle 284 colonne della Piazza san Pietro che a fatica riuscivano a contenere il sussulto unanime di oltre cinquantamila bambine e bambini. Non di meno, nella precedente giornata, il verde dell’erba dello stadio olimpico di Roma, ha unito altrettante voci e storie: insomma, un grande evento che ha portato a Roma oltre 100.000 bambini e bambini rappresentanti di 101 nazionalità.
La prima Giornata mondiale dei bambini (Gmb), tenuta sabato scorso 25 e domenica 26 maggio, è stata  a mio parere una grande lezione di scrittura collettiva dell’intera umanità: tenuta all’aperto, sotto l’unico cielo che avvolge il Creato; i cui protagonisti non sono stati i leader mondiali bensì la voce più umile e concreta dei bambini e delle bambine «profondamente buoni» di diversa nazionalità nella quale ciascuno ha avuto la parola, e nel dialogo con il Papa è nato un testo scritto a più voci che ha spontaneamente innalzato un anelito di pace: pace fra i presenti, pace tra di noi, pace fra le nazioni, pace nei nostri cuori perché un mondo migliore è possibile, un mondo più bello lo dobbiamo costruire poiché, come ha espresso Benigni, «è il mondo stesso che lo chiede» a ciascuno di noi.


Non è una scrittura “per” l’umanità ma “della” umanità, in cui noi non siamo i destinatari di un modello da applicare o sperimentare bensì i protagonisti del contesto che è il tempo unico in cui viviamo, come tra l’altro suggerisce la tecnica umile della scrittura collettiva; ciò, per farci capire e renderci consapevoli che il problema che avvolge l’altro, è anche il mio e mi coinvolge: «ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia» (Lettera a una professoressa).

Vivendo in diretta alcuni momenti o, grazie alle nuove tecnologie, rivedendo alcuni passi significativi, mi pare doveroso raccogliere diverse parole importanti che aprono la porta del futuro per ciascuno di noi e per chi incontriamo. Mentre scrivo queste riflessioni, mi scorre nella mente, come i fotogrammi di un film, i tanti volti che incontro ogni giorno varcando il cancello delle scuole: si può scegliere di entrare con uno zaino di pregiudizi, oppure si può scegliere di entrare con il carico positivo o negativo della settimana precedente, oppure ancora si può scegliere di entrare con i pettegolezzi che sono giunti all’orecchio o dai gruppi Wathsapp ma, per senso di responsabilità e scelta professionale, non si può entrare indifferenti alla novità che anche oggi, mi viene offerta e stai per incontrare gratuitamente oltre la soglia del cancello.
Entriamo dunque con il sorriso nelle nostre scuole perché, come ci ha ricordato sempre Benigni, i bambini «non guardano con gli occhi ma col cuore e ci vedono dentro tutto». Desidero dunque lasciar luccicare come perle alcune parole chiave ripetute più volte nel corso dell’evento e, grazie al loro splendore possono, ogni giorno, attirare lo sguardo e l’interesse dei più piccoli e delle più preziose creature che ci vengono affidate.

È la parola che forse sentiamo maggiormente e pronunciamo sovente nel nostro quotidiano lavoro, ma probabilmente non riusciamo a trasmettere nel valore più profondo che essa contiene. L’ascolto non è semplicemente sentire un suono che giunge alle mie orecchie, bensì è dare spazio nella nostra mente e nel nostro cuore affinché quel suono possa trovare casa e ospitalità. «L’ascolto è anche aderire ed obbedire: un’obbedienza che non significa sudditanza, ma -come spiega Padre Giuseppe De Stefano, membro del comitato esecutivo della Giornata mondiale dei bambini- vuol dire fidarsi di chi ho ascoltato, che è un bene per me».
Ecco perché è importante l’ascolto in quanto è da lì che scaturisce la fiducia: quando un bambino si sente ascoltato, al di là della possibile difficoltà di espressione, si sente così accolto e, trovando un ambiente sereno a lui famigliare, riesce a costruire a piccoli passi la fiducia. Sia la famiglia sia la scuola sono due ottime palestre privilegiate in cui questo ascolto si può e si deve allenare! Che bello è stato sentirmi dire da un mio alunno di quarta primaria qualche giorno fa, dopo anni di duro lavoro di team nel trasmettergli quanto sia importante avere un dialogo ecumenico tra ciascuno senza prevaricare sulla voce di chi sta accanto e ora, grazie all’impegno di tutti, è diventato rispettoso ed educato manifestando un atteggiamento di serenità e collaborazione. Alla mia domanda finalizzata a capire come fosse riuscito a scegliere di cambiare e, di conseguenza, crescere, la sua risposta è stata chiara: “perché ho capito che tu ti fidi di me!” e a me è restata una sola parola “Grazie a te!”. È quindi importante che gli adulti si educhino all’ascolto  dei bambini e delle bambine, i quali hanno il diritto di esprimere la loro novità, altrimenti non costruiamo insieme una tradizione che prosegue arricchita dai segni dei tempi, ma facciamo archeologia, edificando inconsapevolmente un museo: un ascolto che lunge dall’orecchio superbo di chi presume di essere nato imparato in quanto è solo dove c’è l’ascolto che nasce l’accoglienza, il rispetto, la dignità e il bene trova un terreno fertile per germogliare.

Solo quando nel bambino nasce la fiducia in chi ascolta, ecco che dalla sua bocca escono le prime parole, semplici e forse zoppicanti ma umilmente capaci di invocare supporto; pian piano sempre più chiare, convinte e convincenti. R. Benigni esorta i bambini a «imparare più parole possibili: senza di esse si starà male perché non ci si potrà esprimere». Per imparare nuove parole occorre immergersi in percorsi generativi, come l’evento appena vissuto, capaci di costruire ponti che collegano: «fate le cose difficili, non preoccupatevi dell’errore poiché essi sono necessari e belli». Esattamente come la torre di Pisa, anche se imperfetta, osserva l’attore, «è bella» e attira numerosi visitatori ogni anno. Le parole diventano così le infinite piume che coprono le ali della vita dei bambini le quali si aprono impedendo, in caso di pericolo, una caduta libera incontrollata. Ma la creatività dei bambini stupisce ancora perché unendo le parole possono dare luce a storie, contribuire a inventare fiabe e poesie (come mi è capitato di osservare in una classe quinta primaria la scorsa settimana): solo così diventano unici, eroi e protagonisti di una storia che mai si ripeterà per l’eternità.

Solo dalle parole, dalle buone parole nasce il dialogo, un dialogo appassionato in cui le certezze appaiono punti fermi ma le incertezze «ancor più belle» poiché la forza del dialogo trova a ciascuna parola il loro posto per costruire un ponte verso il futuro. I bambini, ha spiegato nel saluto iniziale il cardinal Tolentino, prefetto del Dicastero per la cultura e l’educazione, «sono maestri proprio di quelle arti universali di cui il mondo di oggi ha urgente bisogno, come l’arte dell’amicizia, dell’abbraccio, del perdono, della convivenza fraterna, della gioia semplice, dell’accettazione delle differenze come ricchezza e non come minaccia, della fede vissuta in modo vibrante e neutrale». Queste arti danno forma al dialogo in cui ogni parola trova il suo valore,  «perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia». Ci ricorda don Lorenzo Milani: «Il maestro deve essere per quanto può, profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso».

Non possiamo permettere al dialogo di essere sterile altrimenti è perdita di tempo ma, poiché nasce dall’esigenza umana che raccoglie le necessità contingenti, bisogna dare spazio affinché, a partire dalle fondamenta che siamo noi esseri umani, si possa costruire un domani non fragile, come appare ahimè ai nostri occhi, ma certo perché si affida all’altro quale garanzia per la gioia di domani.

In quest’ottica sempre nel monologo di Benigni, i bambini vengono definiti come «l’alveare dei sogni» ma con un’attenzione molto chiara: «per sognare non bisogna chiudere gli occhi ma aprirli». Sognare ad occhi aperti significa essere felici per ciò che si sta facendo, amando ciò si sta costruendo senza mai accontentarsi di un “buon lavoro” ma cercando sempre di farlo «al meglio», appunto amandolo. «Le fiabe non insegnano che esistono i draghi (quello lo conoscono già i bambini), ma insegnano che i draghi possono essere sconfitti» per questo motivo, osserva Benigni richiamando G. Rodari, «le fiabe possono diventare vere». In questa prospettiva, la guerra “può” e “deve” finire: occorrono artigiani della pace, capaci di generare parole buone e giuste per costruire un mondo di pace!
In queste poche righe ho cercato di raccogliere solo alcune emozioni importanti da condividere per cercare di costruire insieme il domani che sul piano divino chiede la Grazia di Dio e sul piano umano chiede il buon esempio di ciascuno: entrambi, insieme, hanno la capacità di attrarre e di generare il bene alla quale tutti siamo chiamati a contribuire. «Prendere la vita e farne un capolavoro» non è l’invito risuonato nella piazza richiamando le parole di san Giovanni Paolo II e rivolto ai soli bambini e bambine ma attraverso di loro è rivolto a ciascuno di noi perché ogni secondo dell’esistenza è utile per iniziare un capolavoro e scrivere insieme una nuova e meravigliosa pagina della storia dell’umanità! «Non c’è niente di più bello al mondo della risata di un bambino! E se un giorno tutti i bambini del mondo, nessuno escluso, potranno ridere insieme, sarà un grande giorno, sarà il giorno più bello della storia del mondo!».

Qui, di seguito, il canto Inno alla gioia, inno diventato la colonna sonora della Giornata MOndiale dei Bambini, “Siamo Noi”, e sotto, il testo integrale dell’inno, un documento che si può scaricare e che può essere utilizzato in ogni scuola di ordine e grado come punto di partenza di un lavoro.

L’Inno alla gioia cantato dai giovani
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