Uno spacchettamento di competenze e di deleghe che inevitabilmente investirà – o travolgerà – anche la scuola. Le Regioni avrebbero infatti piena autonomia anche sul sistema Istruzione: dai programmi scolastici all’assunzione del personale docente e tecnico-amministrativo. L’ipotesi delle prime analisi per la scuola è di correre il rischio di essere frazionata, creando fino a 20 sistemi scolastici diversi, tutti differenti fra loro. E questo non farà altro che aumentare ulteriormente il divario fra Nord e Sud, aggravando ulteriormente quella competizione già pesante sia sul fronte sociale, sia sul versante territoriale, appesantendo i dramma delle disuguaglianze
C’è anche quersta conseguenza fra gli effetti della disegno di legge governativo per l’Autonomia differenziata, predisposto dal ministro Calderoli, e approvato dal Senato nella seduta dal 23 gennaio 2024 con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti. (Qui il testo del provvedimento)
Favorevoli le forze di maggioranza e il gruppo per le autonomie, contrari Pd, M5S, Alleanza verdi-sinistra e Italia Viva, astenuta Azione. Il ddl voluto dalla Lega passa ora alla Camera per la seconda lettura, e se non subirà modifiche diventerà legge senza ulteriori passaggi, a differenza della ipotizzata elezione diretta del Presidente del Consiglio, sostenuta da Fratelli d’Italia, che comportando modifiche costituzionali richiederà quattro letture.
Il provvedimento è cpmposto da diversi punti, alcuni dei quali hanno anche pesanti implicazioni per l’Istruzione e il mondo della scuola, a cominicare dai docenti.
I punti principali sono:
– Richieste di Autonomia, partono su iniziativa delle stesse Regioni, sentiti gli Enti locali.
– 23 materie, tra queste anche la tutela della salute. Ci sono poi, tra le altre, Istruzione, Sport Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. Quattrodici sono le materie definite dai Lep, Livelli Essenziali di Prestazione.
– Determinazione Lep, la concessione di una o più «forme di autonomia» è subordinata alla determinazione dei Lep, ovvero i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito – è specificato nel testo – in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio.
– Principi di trasferimento, l’articolo 4, modificato in Aula al Senato da un emendamento di FdI, stabilisce i princìpi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che sarà concesso solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Dunque senza Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà Autonomia.
– Cabina di regia, composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. Dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, e all’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.
– Tempi, il Governo entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Mentre Sato e Regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate.
Oppure potranno terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi.
– Clausola di salvaguardia, l’undicesimo articolo, inserito in commissione, oltre a estendere la legge anche alle regioni a statuto speciale e le province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del governo.
L’esecutivo dunque può sostituirsi agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica. In particolare si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali.
Le materie attribuibili sono quelle per cui è prevista la legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni di cui all’art.117 della Carta, tra le quali compare anche “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”;.
Di seguito, invece, un sintesi estrema del commento delle parti politiche al provvedimento , ora in approvazione alla Camera. Precisando che all’attribuzione si provvede con una legge dello Stato “sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. E finora sono tre le Regioni con cui lo Stato ha sottoscritto un accordo preliminare: il Veneto, che ha chiesto l’autonomia rafforzata in tutte le 23 materie potenzialmente interessate, la Lombardia (20 materie), e l’Emilia-Romagna (16).
La procedura, apparentemente semplice, è in realtà complicata e piena di insidie anche politiche nei diversi passaggi: sull’intesa preliminare approvata dal Consiglio dei ministri devono esprimere un parere la Conferenza unificata e le varie commissioni parlamentari competenti, che possono anche proporre “atti d’indirizzo”.
Il presidente del Consiglio, però, potrebbe non tenerne conto, presentando alle Camere le motivazioni di tale scelta. Toccherà poi ancora al Consiglio dei ministri deliberare sullo schema definitivo dell’intesa, che sarà inserito in un apposito disegno di legge da sottoporre alle Camere per l’approvazione a maggioranza assoluta senza modifiche: prendere o lasciare.
Le opposizioni (tranne Azione) e i sindacati contestano il ddl anche perché, vista l’invarianza della spesa (art. 9 c. 1: “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”), l’autonomia differenziata favorirebbe il Nord danneggiando il Sud (parlano di “secessione dei ricchi”). La maggioranza risponde che questo sarebbe impedito dalla applicazione preventiva dei LEP (Livelli essenziali di prestazione) nei diversi settori, dalla sanità all’istruzione. Ma i LEP continuano ad essere oggetti misteriosi. Ne parliamo nella notizia successiva.