Ripensare procura brividi, perché ho visto sprigionarsi la mente collettiva come per gemmazione multipla, proprio nel momento in cui il Coronavirus ci ha confinato in casa.
Appartiene al turbamento del regista lo stupore assoluto per cui sono fiorite numerose identità individuali proprio grazie al potere magnetico della scrittura, come aderenza tra parola e pensiero dentro circostanze storiche non propriamente provvidenziali e di stretta prossimità.
All’appello del mattino in Dad, qualcuno piangeva o emetteva gemiti sottesi a problemi di connessione e la cornice della peste del 1300 in un attimo, si è offerta come un versante analogico direttamente percorribile come motivo occasionale di apprendimento sostenibile.
Fuori delle tinte forti e drammatiche che si profilavano all’orizzonte, abbiamo colto il gusto di scrivere un’opera con significato terapeutico: come nel lontano Trecento, dallo spensierato isolamento di sette donne e tre uomini, lontano dalla città di Firenze, per porsi in salvo dall’imperversare dell’epidemia, abbiamo scommesso sull’ipotesi che anche per noi sarebbe potuto scaturire un lavoro comune, in clima protetto.
IL DECAMERONE primavera 2020, classe seconda.
Ha fatto subito breccia l’idea di raffigurare come Boccaccio l’intera società del tempo, integrando gli ideali di vita basati sull’amor cortese, la magnanimità e la liberalità con i nuovi valori e bisogni della città tardomedievale.
Il kairos direttamente discendente per analogia dall’opera boccacesca è stato scivolo immediato per compilare una rassegna di parole- fiume che nascevano dall’esperienza del dolore, della sofferenza, dall’isolamento e dall’anelito della libertà; parole via via identificate e discusse per essere scelte o scartate, fino a formulare alcuni racconti propizi e virtuosi sulla falsariga delle novelle che andavamo leggendo.
La cornice è stata realizzata in forma digitale mediante un flik book, unitamente alle rappresentazioni grafiche da allegare.
Si è svolta una gara di scrittura, di ascolto e lettura a distanza o di composizione live durante le ore in Dad, su traccia analogica delle novelle afferenti alle giornate boccacesche, dedicate a vari temi.
La scelta del nome dei protagonisti ha preso le mosse dall’esperienza viva dei bisogni struggenti del momento: gentilezza, solidarietà, sacrificio, abnegazione, rischio, per citarne solo alcune, per cui ciascun allievo si è immedesimato con le persone più amate in famiglia, in pericolo tra gli amici e conoscenti o sui rapporti tra loro che andavano intessendo.
Costruire l’alfabeto del Noi, oltre a rivitalizzare il processo, offre valore aggiunto, all’esperienza assicurata dal percorso e dal processo come nuova socialità in atto, che fa capolino nei momenti più paradossali del cammino.
Alle spalle avevamo una lunga riflessione su amore, amicizia e morte come facce della stessa medaglia che già l’anno precedente in prima media, avevano dato vita allo scoccare del metodo, in senso cristallino e assoluto. La morte come fine inaccettabile delle cose e delle persone che amiamo e con cui stringiamo rapporto, aveva permesso di rivisitare “ Il piccolo principe” di A. De Exupery insieme a lunghi dialoghi socratici sui sogni e su alcune canzoni rap come “ La ragazza col cuore di latta”di Irama e “ Ipernova” di Mr. Rain.
Sul file di scrittura del primo anno di sperimentazione, rimbalzano queste limpide parole con cui i ragazzi concludono il percorso:
“All’inizio dell’anno alcuni di noi si sentivano dei bruchi rinchiusi nel loro bozzolo, ma grazie alla scrittura collettiva ci siamo trasformati in farfalle autonome e libere e abbiamo spiccato il volo insieme ai nostri compagni (…), sembra che scrivendo, scaviamo come dal mantello della terra, al suo nucleo. In altre parole, ci sentiamo come una terra bagnata che assorbe pensieri e parole dette da altri. I nostri pensieri e i concetti che impariamo sono come la pioggia che penetra nel nostro profondo e ci trasformano, man mano, in persone fertili e mature”.
Quali migliori tracce possono esprimere l’alfabeto del Noi?